Non esiste solo Londra: ecco la sfida dei Tories per un nuovo equilibrio tra la City e le regioni

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Non esiste solo Londra: ecco la sfida dei Tories per un nuovo equilibrio tra la City e le regioni

Non esiste solo Londra: ecco la sfida dei Tories per un nuovo equilibrio tra la City e le regioni

22 Luglio 2020

London Calling…ma non più di tanto per l’attuale Governo Conservatore britannico. Già, perché l’esecutivo guidato dal l’ex sindaco della Capitale, il londinesissimo Boris Johnson, sembra stia compiendo un’offensiva destinata a riequilibrare i rapporti tra Londra e il resto del paese. Com’è possibile tutto ciò?

A differenza della Germania, della Spagna o dell’Italia dove le Capitali convivono con altre grandi città in condizioni di rivalità competitiva (Berlino v Monaco di Baviera, Madrid v Barcellona, Roma v Milano), in Gran Bretagna Londra è sia sede delle istituzioni politiche, sia centro economico e soprattutto finanziario di un paese che continua a pensare globale. Mentre il resto del paese è stato colpito dalla disruption portata avanti dalla globalizzazione di fine anni ’90, Londra è diventata sempre più ricca, prospera. In una parola: attractive. Sia per i capitali che per le persone. Ma negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, soprattutto in seguito al risultato elettorale del 12 dicembre 2019, che ha visto i Tories sfondare il muro rosso Laburista nelle Midlands, nel Nord-Est e in Galles e confermare la supremazia di Corbyn e soci nella Capitale, dove, nonostante il programma di sinistra radicale dell’allora leader del partito, il Labour ha ottenuto quasi il 70% dei consensi.

Il Governo Tory si sta muovendo così in un’ottica di consolidamento delle nuove constituencies che gli hanno consentito di avere una maggioranza di 80 seggi alla Camera dei Comuni. Blyth Valley, Workington e Bolsover non sono più dei punticini sulla mappa dell’Inghilterra ma dei luoghi veri e propri con degli elettori che hanno premiato Johnson e i Brexiteers perché si sono sentiti dimenticati da Blair, Brown e Cameron.

Recentemente, due discorsi dei due Top Tories al Governo hanno definito meglio questo cambiamento epocale nella politica inglese.

Il Premier Boris Johnson ha scelto la città di Dudley nelle West Midlands per annunciare il New Deal che dovrà portare il Regno Unito negli anni Trenta del Ventunesimo Secolo, fuori dalle secche della pandemia e dell’Unione Europea. Johnson ha stilato un programma rooseveltiano di investimenti pubblici nella sanità, nelle infrastrutture e nell’edilizia popolare finalizzato a rendere più competitive quelle aree che hanno vissuto come un dramma la loro fase post-industriale. Aumento della spesa pubblica per riequilibrare un paese in cui, secondo i Tories di Blue Collar Conservatives – un gruppo molto influente presieduto dall’ex ministro Esther McVey che rappresenta oltre 130 parlamentari della maggioranza – le disuguaglianze tra la Greater London e le altre Regioni si sono ampliate sempre più.

Il ministro del Gabinetto, Michael Gove (origini scozzesi ma londinesi adottivo di Notting Hill), ha anch’egli dato il suo contributo alla causa. Parlando alla Ditchley Lecture, Gove ha annunciato un piano per far sì che buona parte dei civil servants di Whitehall lascino la Capitale per altri lidi e stare più a contatto con la gente. Piani di questo tipo sono stati ideati da quasi tutti i governi ma questa volta sembra ci sia un ampio consenso anche nella maggioranza Tory al riguardo. Attualmente, sono 83,500 i dipendenti della PA britannica su un totale di 430mila. La resistenza sarà forte, anche perché il rapporto tra Downing Street e Whitehall è sempre più improntato sulla dialettica: il recente addio del Cabinet Secretary, Mark Sedwill, è stato preso come un affronto intollerabile da parte dei mandarini UK, che stanno mal digerendo tutte le novità in termini di nomi, cariche e riforme che il Governo Johnson sta facendo calare su di loro.

Londra dunque si attende un futuro in tono dimesso dopo la pandemia e la Brexit? Sarebbe folle pensarlo. Dopotutto, come già detto, il Premier è un ex-sindaco della Capitale e vive nel quartiere più affluent della megalopoli, Westminster. Il Labour ha sostituito un leader londinese, Jeremy Corbyn di Islington, con un altro, Sir Keir Starmer, che ha il suo collegio elettorale nell’esclusiva zona di Holborn, ed è molto inserito nel mondo delle grandi charity e dei grandi studi di avvocati della Capitale. Gli stessi LibDems hanno il nocciolo duro del loro elettorato nel borgo di Richmond, polmone verde a ovest di Fulham. Inoltre, il sindaco di Londra, il Laburista Sadiq Khan è stato l’unico amministratore locale a partecipare alle riunioni del COBRA con il Premier, i ministri e i vertici dell’intelligence e dell’NHS durante le fasi più acute della pandemia da coronavirus. Le elezioni per il nuovo mayor sono state posticipate al 2021, ma Khan sembra nettamente favorito. I Conservatori cercheranno di disarcionarlo schierando Shaun Bailey, un giovane Tory della minoranza BAME.

La City rappresenta tutt’oggi la maggiore fonte di introiti per l’Her Majesty’s Inland Revenue, l’agenzia delle entrate di Sua Maestà. Preservare la sua autonomia e tutelarla nelle trattative per la Brexit con l’UE è un compito fondamentale per il Governo. Il settore della finanza e dei servizi garantisce l’80% del Pil britannico e il 50% delle offerte di lavoro nel paese parte proprio dalla Capitale. Il levellling up dovrà portare il resto del paese al livello di Londra più che il contrario. L’impresa si preannuncia difficile ma i Tories sanno che le loro fortune future dipenderanno anche da questo.