Non farò come Colin Powell: voterò McCain for President

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Non farò come Colin Powell: voterò McCain for President

01 Novembre 2008

Bastian contrario quale sono, io voterò per John McCain. Non parlo di andare contro i sondaggi o contro i media, tutti d’accordo nel dire ch’è finita prima che sia davvero finita. Parlo di andar contro l’orda di conservatori che si sono bagnati le dita per capire da che parte tira il vento e hanno deciso di schizzare verso Obama prima di ritrovarsi tagliati fuori, al freddo e senza neanche un pranzetto di Stato per i prossimi quattro anni. 

E allora mi metto di traverso e grido “basta!” davanti a quest’orda di conservatori d’ogni risma pronti a saltar giù dalla barca. Gente come il nuovo arrivato Ken Adelman, il moderato Colin Powell, il genetico-ironico Christopher Bukley e il socialista-ateo Christopher Hitchens. No, non farò parte di questa banda. Affonderò con la nave di McCain. Meglio perdere un’elezione che perdere la bussola. 

Innanzitutto non voglio avere nulla a che fare con l’ipocrita argomentazione messa su per razionalizzare un voto dato al candidato più liberal e con meno esperienza che si ricordi a memoria d’uomo. Pensiamo alla storia del temperamento imprevedibile di McCain, tanto per fare un esempio. Come se il tentativo del candidato repubblicano – rischioso e senza successo ma assolutamente non irrazionale – di destreggiarsi tatticamente a modo suo nello tsunami economico del mese scorso, lo renda inadatto al mandato. Un uomo come lui, che ha dimostrato la più ammirevole serenità e grande coraggio dinanzi alle inimmaginabili pressioni subite da prigioniero di guerra. Un uomo che ha navigato con decisione attraverso innumerevoli sfide e sconfitte, non ultimo il collasso della sua campagna appena un anno fa. McCain “l’imprevedibile” altro non è che un argomento da quattro soldi adottato dalla campagna di Obama. Quarant’anni di curriculum, però, sono lì a testimoniare a favore di McCain “il risoluto”. 

Né, poi, ho intenzione d’incoraggiare le insinuazioni sulla presunta “campagna elettorale sporca” condotta da McCain. Qui l’utilizzo di due pesi e due misure è a dir poco sconvolgente. Obama ha messo in giro uno spot diffamatorio elettorale in lingua spagnola nel quale si associa ingiustamente McCain a calunnie anti-ispaniche. Un altro spot, inoltre, affermava falsamente che McCain appoggia “il dimezzamento delle indennità di sicurezza sociale”. Senza contare che per mesi i democratici hanno insistito sul fatto che McCain desiderasse cent’anni di guerra in Iraq. 

Chi critica McCain si dice offeso dal fatto che il senatore dell’Arizona abbia sollevato la questione dell’ex bombarolo (non pentito) William Ayers. Quel ch’è stupefacente, invece, è che lo stesso Obama non si sia sentito offeso da Ayers. Inoltre, la più notevole delle scelte tattiche di questa stagione elettorale è in realtà l’attacco che non c’è mai stato. Con una coscienziosità estrema (e del tutto non necessaria) McCain si è rifiutato di sollevare la legittima questione della più reprensibile tra le relazioni intrattenute da Obama, quella con il Reverendo Jeremiah Wright, noto per la sua inclinazione alla predica razzista. Proprio una campagna sporca, come no. 

Il caso di McCain, poi, è piuttosto chiaro. La crisi finanziaria ci ha fatto scordare, o solo negare ciecamente, quanto il mondo là fuori sia pericoloso. Abbiamo fra le mani una battaglia lunga generazioni con il jihadismo islamico, con un Iran nucleare sempre più prossimo a una nascitura apocalisse, con un Pakistan a rischio di frammentazione e dotato di armamenti nucleari e con una Russia che spinge sempre più in là i limiti del revanscismo. Senza contare una sicura “sorpresa tipo Falkland” pronta a venir fuori dal nulla. 

Chi volete che vada a rispondere a quel telefono alle tre del mattino? Un uomo che ha passato lo scorso anno a riempirsi la testa di nozioni su argomenti del genere, che non si è mai trovato a dover prendere una decisione amministrativa che riguardasse qualcosa di più che una città, figurarsi il mondo intero? Un novellino della politica estera istintivamente incline al più moscio e vaporoso multilateralismo (come quando, citando John Lennon, ha detto che il muro di Berlino è caduto grazie al “mondo che diventa una cosa sola”) e che si riferisce all’atto di guerra più deliberato dai tempi dei Pearl Harbor come “la tragedia dell’11 settembre”, un termine decisamente più appropriato per un incidente d’autobus? 

O volete un uomo che è di fatto il più preparato, affidabile e serio pensatore in materia di politica estera del Senato degli Stati Uniti? Un uomo che non solo ha le migliori attitudini ma anche l’onore e il coraggio di, sì, il coraggio di “mettere il paese al primo posto”, come quando ha portato avanti la propria battaglia solitaria a favore di quel surge che ha trasformato l’Iraq da una sconfitta catastrofica in una fattibile vittoria strategica? 

Semplicemente non c’è paragone. Questa settimana lo stesso running-mate di Obama ha avvertito che la giovinezza e l’inesperienza del candidato democratico aumenteranno l’eventualità di una crisi, anzi di una “crisi generata” appositamente per saggiarne la tempra. Si può avere un atteggiamento serio sul tema della sicurezza nazionale e poi votare per Obama il 4 novembre chiedendo a gran voce d’essere sottoposti a un test del genere? E Obama, in che modo passerà quel test? Beh, com’è che ha passato gli unici due test significativi in tema di politica estera con cui ha avuto a che fare da quando è in Senato? Il primo, ricordiamolo, è stato il surge in Iraq. Un test che Obama ha fallito in modo spettacolare: non solo vi si è opposto, ma ha cercato di denigrarlo, fermarlo e infine di negarne il successo.

Il secondo test è stato la Georgia, una prova alla quale Obama ha risposto istintivamente con imparziale eguaglianza morale facendo appello ad ambo le parti affinché si moderassero. McCain non ha certo avuto bisogno di consultare i propri consiglieri per identificare all’istante chi fosse l’aggressore. Con il tempo la crisi economica di questo periodo passerà come è passata ogni altra crisi nella nostra storia, ma i barbari saranno ancora ai nostri cancelli. Voi, chi è che vorreste sul parapetto? Io sto con quello che sa distinguere il leone dall’agnello. 

© Washington Post
Traduzione Andrea Di Nino