“Non ho paura di dire la verità sul multiculturalismo e sull’islam”

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“Non ho paura di dire la verità sul multiculturalismo e sull’islam”

25 Marzo 2011

Personaggio controverso, perfino provocatorio, il politico olandese Geert Wilders rappresenta una nuova idea di Europa che ha messo in discussione i dogmi del multiculturalismo. In poco tempo, il suo partito ha conquistato 24 seggi nella Camera Bassa del Parlamento olandese diventando decisivo per la tenuta del governo di coalizione formato da liberali e cristiano-democratici. Dal 2004, Wilders vive sotto scorta dopo aver ricevuto un’infinita serie di minacce dalle sigle dell’estremismo islamico. Con lui parliamo di islam, immigrazione, libertà di parola. Guardando alle rivoluzioni che stanno sconvolgendo il mondo arabo e musulmano. Ieri Wilders ha tenuto la Lettura Annuale della fondazione Magna Carta, nella Chiesa di Santa Marta a Roma.

Lei sostiene da tempo il fallimento della società multiculturale. Perché?

Multiculturalismo è un termine che ha molti significati ma viene comunemente usato per riferirsi a una specifica ideologia politica che promuove l’idea secondo cui tutte le culture sono uguali. E se tutte le culture sono uguali ne consegue che lo Stato non dovrebbe dare centralità ad alcun valore culturale specifico. In altri termini: secondo i multiculturalisti lo Stato non dovrebbe promuovere alcuna leitkultur – o cultura guida – cioè a dire quella cultura che gli immigrati dovrebbero accettare se  intendono venire da noi e vivere insieme. Si tratta di una ideologia, il relativismo culturale, che la cancelliera tedesca Angela Merkel ha recentemente messo in discussione quando ha affermato che il multiculturalismo è stato un “fallimento assoluto ”. La Merkel ha realizzato – finalmente! – un dato che molta gente comune, come i nostri elettori, ormai aveva capito da anni. I cittadini comuni sanno cos’è il multiculturalismo: immigrati che non accettano i nostri valori, autorizzati a mantenere i propri anche se possono entrare in conflitto con quelli del Paese che li ospita. Il risultato paradossale è che li accogliamo e dobbiamo piegarci ai loro costumi. E’ accaduto questo nei centri storici delle nostre città. Il multiculturalismo ci ha indeboliti a tal punto da spingerci a tollerare l’intolleranza. E ora l’intolleranza ha prevalso.

Cosa non ha funzionato nelle politiche dei paesi europei quando si parla di immigrazione e integrazione?

Lo scorso mese il presidente francese Nicolas Sarkozy ha detto: “Siamo stati troppo attenti all’identità dei migranti e non abbastanza a quella del Paese che li stava accogliendo”. Un coro rafforzato dal primo ministro britannico David Cameron: “Abbiamo accettato l’indebolimento della nostra identità collettiva”. Biasimo questi politici a cui è servito così tanto tempo – troppo – per accorgersi di quanto stava accadendo. Hanno tradito i ceti popolari e i “colletti blu” che sono diventati le vittime delle politiche multiculturali. Un’indagine condotta nei Paesi Bassi nel 1988 mostrava che quasi tre olandesi su quattro volevano una restrizione dei flussi migratori, e ciononostante alla maggioranza degli immigrati è stato permesso di entrare in Olanda proprio a partire da quella data. Nel frattempo, un terzo dei nativi olandesi ha lasciato i quartieri dove generalmente vivevano i ceti popolari e la classe lavoratrice, mentre le fasce della popolazione immigrata diventavano predominanti imponendo la propria cultura su quella locale. Ce l’ho con i politici di cui parlavo prima anche perché, nonostante tutto, continuano a sostenere il dogma del multiculturalismo, un dogma uguale a quello che vuole l’Islam religione di pace. Cameron, tanto per fare un esempio, se la prende con “l’estremismo islamico” che crea problemi in Gran Bretagna, ma rifiuta di vedere che l’islam è un problema in sé, perché un islam moderato semplicemente non esiste. Questa settimana un prestigioso istituto di sondaggi dei Paesi Bassi ha rivelato che il 50% degli olandesi ritiene che l’islam e la democrazia siano incompatibili, mentre il 42% invece pensa il contrario. Addirittura due terzi degli elettori del partito liberale e del partito cristiano-democratico sono convinti che l’islam e la democrazia non siano compatibili.

Perché ha lasciato il partito liberale e cosa l’ha spinta a creare un nuovo movimento politico?

Ho lasciato il partito nel 2004 per diverse ragioni ma l’ultima e la più importante è stato il dibattito sull’ingresso della Turchia nell’Unione europea. Mi opponevo a questa eventualità ma il VVD decise che l’avrebbe sostenuta. Per me si trattava di una scelta inaccettabile ed è per questo che sono uscito dal partito, perché non volevo tradire i miei elettori. Tutti le maggiori formazioni politiche in Olanda sostengono l’adesione della Turchia nell’Unione europea, benché la maggioranza degli olandesi sia contraria. Io sto dalla parte delle persone. Lasciai il VVD, dunque, e a quel punto mi trovai da solo in mare aperto. Decisi di fondare il "Partito per la libertà". Nel 2006 vincemmo 9 seggi sui 150 della Camera dei Rappresentanti olandese. Nel 2010, ne abbiamo vinti ben 24. Siamo il partito che cresce di più nel panorama politico olandese. Non abbiamo paura di dire la verità sul multiculturalismo e sull’islam e difendiamo le libertà tradizionali e i valori del popolo olandese. 

Quant’è importante la libertà di parola per salvaguardare i valori della civiltà occidentale?

La libertà di parola è il più importante dei nostri diritti civili. Essere liberi di parlare definisce le nostre società moderne in quanto tali. Senza diritto di parola non può esserci democrazia, non può esserci libertà. Come disse una volta George Orwell: “Se la libertà ha un significato è certamente quello di avere il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire”. Ripeto spesso le parole incise sopra la lapide del politico olandese anti-islamico Pyn Fortuyn, che riposa qui in Italia: “loquendi libertatum custodiamus”, custodiamo la libertà di parola. E’ nostro dovere difenderla. 

Invece adesso si corre il rischio di finire addirittura in tribunale…

Purtroppo, la libertà di parola non è più così scontata in Europa. Quel che un tempo pensavamo fosse una componente naturale della nostra esistenza è diventato qualcosa per cui bisogna tornare a combattere. Le persone che dicono la verità sull’islam vengono trascinate nelle aule di giustizia per i cosiddetti crimini di "incitamento all’odio". Recentemente, il giornalista danese Lars Hedegaard, presidente della International Free Press Society, ha dovuto far fronte a un processo a Copenhagen perché ha osato criticare l’islam. Il signor Hedegaard è stato prosciolto ma solo grazie a un cavillo. Non sapeva che le sue parole, espresse in una conversazione privata, in realtà erano state oggetto di una registrazione. I suoi accusatori hanno impugnato il verdetto e il mese prossimo Hedegaard dovrà vedersela con la Corte suprema danese. Di recente, Elisabeth Sabaditsch-Wolff, un’attivista viennese per i diritti umani, è stata multata per aver osato dire che il profeta Maometto era un pedofilo perché sposò una bambina di appena 9 anni.

E il suo processo invece come va?

Il mio processo ad Amsterdam va avanti pur costituendo una bella perdita di tempo, tempo che potrei spendere meglio per rappresentare il milione e mezzo di elettori che mi ha votato. Il risultato perverso di questa situazione, comunque, è che oggi in Europa è praticamente impossibile avere un dibattito franco sulla natura dell’islam o sugli effetti che i fedeli musulmani hanno sull’immigrazione in generale. La libertà è fonte di creatività umana e di sviluppo. I popoli e le nazioni appassiscono senza libertà. C’è davvero ragione di temere se il prezzo che siamo chiamati a pagare per integrare l’islam è l’erosione della nostra libertà di parola. E bisogna preoccuparsi se coloro che negano che l’islam sia il problema non ci garantiscono neanche il diritto a dibattere la questione.

Servirebbe una campagna per promuovere i valori occidentali?

Una campagna del genere sarebbe certamente importante, ma è qualcosa che dovrebbe svilupparsi già nelle nostre scuole e università. Dovrebbero insegnare i valori occidentali ai nostri bambini. Purtroppo il multiculturalismo ha intaccato le scuole, le università e talvolta, ebbene sì, anche la chiesa stessa. Tutti temono, al limite della riluttanza, di promuovere i valori dell’occidente per una semplice ragione: non credono più nella superiorità della cultura giudaico–cristiana e della cultura umanistica.

Guardiamo a quel che sta accadendo in questi giorni nel mondo arabo e musulmano. Lei pensa che l’islam possa essere riformato?

Non penso che l’islam possa essere riformato. I popoli arabi bramano la libertà. Niente di più naturale. Ma rimane la questione di fondo, ovvero che l’ideologia e la cultura dell’islam è talmente interiorizzata da queste società che una vera libertà è semplicemente impossibile. Fintantoché l’islam rimarrà dominante non potrà esserci vera libertà. Guardiamo in faccia la realtà. Lo scorso 8 marzo, la festa della donna, 300 donne hanno dimostrato a piazza Tahrir al Cairo, nell’Egitto post-Mubarak. Dopo pochissimi minuti, sono state caricate da un gruppo di uomini barbuti che le hanno colpite e condotte via. Alcune di loro, a quanto pare, sono state addirittura molestate sessualmente. La polizia è rimasta a guardare. Questo è il nuovo Egitto. Un giorno le persone protestano per chiedere più libertà; quello appresso, gli stessi che chiedevano libertà picchiano le loro donne, che a loro volta erano in piazza invocando la stessa cosa.

Libertà e democrazia avranno spazio in Nordafrica o finiremo col sentire la mancanza di Mubarak e Gheddafi?  

Quello che ho detto non significa che io senta la mancanza di Mubarak. Mi dispiace molto sapere che Gheddafi sia ancora al potere. Quel tipo è assolutamente pazzo. Ma l’ingenuità è un lusso che non posso permettermi. Temo che difficilmente, nei paesi islamici, la democrazia si tradurrà in libertà. Un sondaggio condotto dall’American Pew Research Center ha messo in luce che il 59 per cento degli egiziani preferisce la democrazia a qualsiasi altra forma di governo. Detto questo, l’85 per cento afferma che l’influenza dell’islam in politica è una cosa buona, l’82 per cento che le adultere dovrebbero essere linciate, l’84 per cento vorrebbe la pena di morte per gli apostati e il 77 per cento pensa che i ladri dovrebbero essere fustigati o che gli andrebbero mozzate le mani.

Che posizione dovrebbero assumere l’Europa e gli Stati Uniti davanti a una crisi come quella libica? E di cosa ha più bisogno il mondo, dell’incertezza di Obama o della determinazione della prima ora di Bush jr.?

Il mio partito ha sostenuto l’imposizione di una no-fly-zone sopra i cieli di Libia. Il mondo deve fermare Gheddafi – questo “cane rabbioso” come lo chiamò Ronald Reagan – e deve impedirgli di uccidere la propria gente. Comunque, andiamo a vedere cosa recita la risoluzione dell’Onu 1973 della scorsa settimana. Il testo dice che la responsabilità primaria degli “Stati della regione” è quella di dar corso alla risoluzione. Qualcuno mi spieghi perché un paese come l’Olanda deve contribuire con 6 jet da combattimento F16 per imporre l’embargo sulle vendite e il trasporto di armi verso la Libia, mentre un paese come l’Arabia Saudita non mette neppure un singolo velivolo della sua flotta di quasi 300 aerei. Altri arabi muoiono, ma i Paesi del mondo musulmano si sottraggono alle proprie responsabilità. Come ho già detto non dovremmo nutrire l’illusione che vi possa essere vera libertà e vera democrazia in un Paese fintantoché l’islam resta dominante. Stiamone pur certi. Non credo di dire chissà quale enormità quando spiego che, con buona probabilità, i risultati dello studio del Pew sull’Egitto potrebbero valere anche per la popolazione libica. Non è certo nel nostro interesse portare al potere i Fratelli Musulmani a Tripoli e che in Libia si installi un califfato.

Non Le sembra di essere un po’ troppo pessimista?

Guardi, io vado spesso in Medio Oriente. Conosco il potenziale che hanno questi paesi e questi popoli. Guardiamo alla prosperità di uno stato come Israele, che vive in condizioni geografiche e climatiche simili a quelle di un paese arabo. Benché Israele non goda di pozzi di petrolio, gli israeliani hanno costruito per sé e per i propri figli una nazione prospera, democratica e libera. Se solo le società arabe riuscissero a liberarsi dall’islam, allora anche loro diverrebbero delle nazioni prospere e libere. L’islam è il problema e non dobbiamo avere a paura di dirlo.

(Traduzioni/editing: Edoardo Ferrazzani)