Non rubate il sogno americano

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Non rubate il sogno americano

06 Ottobre 2008

Il Congresso degli Usa ha dato il via libera alla versione B del piano Bush-Paulson per il salvataggio delle banche Usa. Ma il biasimo bipartisan che si è rovesciato da questa parte dell’Atlantico sulla maggioranza bipartisan che a Washington ha bocciato la prima versione del provvedimento trascura un piccolo particolare: gli Usa sono una democrazia. Lì la tradizione (ormai) plurisecolare di lotte politiche, sociali, razziali, non ha fiaccato ma al contrario innervato la partecipazione popolare alla vita politica. Se da questa parte dell’Atlantico cittadini e elettori assistono a distanza allo scontro Sarkozy-Merkel sulle misure anticrisi, o prendono fiduciosamente atto delle rassicurazioni del premier Berlusconi, laggiù cittadini, associazioni, lobbies si mobilitano e fanno tremare la poltrona sotto il sedere dei loro rappresentanti, di cui oltretutto conoscono bene personalmente – e non, come si usa da noi, attraverso atti giudiziari – vita morte infamie e miracoli.

“Sconsiderato” il Congresso, come ha scritto qualche giorno fa  il professor Luigi Spaventa? Prevalgono in America il populismo e l’antipolitica, come pensa, da simpatizzante però, Giuliano Ferrara? Non ci pare. A noi sembra invece che, pur di fronte ad un uragano finanziario che ha spazzato via ogni certezza del futuro per decine di milioni di persone, le istituzioni Usa abbiano retto al meglio. Che insomma ancora una volta si siano manifestati i caratteri migliori della democrazia americana, quella che descriveva ammirato Tocqueville raccontandoci che “gli Americani di tutte le età, condizioni e tendenze, si associano di continuo” e che “dappertutto, ove alla testa di una nuova istituzione vedete in Francia il governo, state sicuri di vedere negli Stati Uniti un’associazione”. Quasi trecento anni dopo le cose non sembrano cambiate. Con i loro blogs, le raccolte di firme, le migliaia di e-mails, i cittadini americani hanno imposto ai loro rappresentanti di dire no a muso duro a un piano governativo che gli veniva sottoposto nella chiave dell’emergenza e del ricatto. La campagna contro Paulson è nata spontanea da argomenti semplici tipo: “chi sbaglia paga”, o “non è giusto privatizzare i profitti e socializzare le perdite”, o ancora “il socialismo di Stato è sempre socialismo per i ricchi”.

Sconfitta (almeno al primo round) è stata una politica governativa, non la politica. A uscire con le ossa rotte dalla crisi finanziaria non è il “capitalismo”, concetto troppo astratto per poterne mai fare buono o cattivo uso di fronte alla realtà. Tanto meno il libero mercato, che è fatto di un principio irrinunciabile (non per tutti magari), la libertà, e di un meccanismo pratico, il mercato: alle volte le viti di questo meccanismo sono troppo serrate, alle volte troppo lasche, e spetta ai governi regolarne il gioco. Liquidata dalla crisi, e si spera definitivamente, è stata la politica impacchettata nella carta luccicante dell’American Dream dalle oligarchie del denaro o del potere che guardano indifferentemente a destra e a sinistra. Quando il sogno americano di fare fortuna, di arrampicarsi sull’ascensore sociale, di comprarsi – mettiamo – la casa, è stato rubato ai cittadini e offerto a tasso zero dal Governo e dai suoi istituti finanziari, è diventato un incubo.

Questa è la lezione che abbiamo imparato: non rubate il sogno americano agli americani, non costruite su questo furto le fortune bancarie e finanziare di manager e azionisti, non ci stipendiate politici e lobbisti, non cercate di sottrarvi a questo modo alle rudi sfide della globalizzazione, non fate gli struzzi nemmeno se la sabbia per nascondervi la testa ve la fornisce senza fine la Federal Reserve. In Italia li chiameremmo Lorsignori, o la Casta, ma sotto ogni latitudine ci sono quelli che appena il loro mondo comincia a scricchiolare trovano molto comodo appendersi alla maniglia del segnale d’allarme e bloccare il treno in corsa. Può darsi che non vi sia altro modo oggi per impedire al treno della finanza di precipitare nel burrone che riempire di soldi pubblici le banche e i fondi. Ma l’elettore americano che ha imposto il no del Congresso al primo piano Paulson ha voluto – reaganianamente – ricordare ai suoi rappresentanti che la maniglia d’allarme non è la soluzione, è il problema.