Non salite sul Titanic di Fatah

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Non salite sul Titanic di Fatah

20 Giugno 2007

L’articolo di Micheal Oren apparso sul Wall Street
Journal
di oggi, coglie in pieno le difficoltà implicite di una politica a
supporto del partito di al-Fatah, non certo una panacea per tutti i problemi
dei palestinesi e, anzi, un rimedio peggiore del male stesso. Per Oren,
l’America ed i suoi alleati mediorientali hanno tutte le ragioni ad essere
spaventati da quello che sta succedendo a Gaza. 
I terroristi che stanno di casa a Damasco e prendono i soldi dalla
“borsetta di Teheran” potrebbero anche puntare alla conquista della
Cisgiordania come prossima mossa e poi, perché no, tentare di scardinare
dall’interno i governi pro-occidentali del Libano, della Giordania, dell’Egitto
e del Golfo Persico.

Uno scenario da brividi. Per scongiurare tale eventualità
gli Usa hanno deciso di allearsi con gli europei e gli israeliani e
ricominciare a sovvenzionare l’Autorità Palestinese con un fiume di soldi.  Quel denaro, va ricordato, finisce nei conti
in banca dei dirigenti Fatah e di Abbas. Non solo, l’altra idea è quella di
creare uno stato palestinese all’interno della Cisgiordania, nel tentativo di
fornire un’alternativa legale ad Hamas. 
Il problema è che questo dimostra che non si è imparato niente dagli
errori passati: la monumentale corruzione di Fatah, il suo jihadismo e la sua
militanza armata non sono tenuti in considerazione dai paesi occidentali.
Secondo Michael Oren, ogni tipo di istituzione costruita sulle macerie
dell’Autorità Palestinese è destinata a “implodere e ad accrescere, piuttosto
che diminuire, l’influenza di Hamas”.

Dagli accordi di Oslo in poi, data della sua creazione,
l’Autorità Palestinese ha ricevuto più soldi ed aiuti internazionali di ogni
moderna entità statale, anche più di quello che i paesi europei ricevettero  durante il piano Marshall. Soldi che appunto
sono stati risucchiati dai conti in banca dei leader di Fatah o che sono
serviti a finanziare i comandanti delle 16 milizie semi-autonome che fanno da
satelliti al “partito laico”. Non bisogna dimenticare, poi, che l’Autorità
Palestinese mantiene circa 60.000 poliziotti in servizio, tutta gente che è
scappata a gambe levate al minimo accenno di belligeranza da parte dei
guerriglieri fondamentalisti di Hamas.

Per contro, i palestinesi languono nelle strade senza legge
all’interno di un paese senza stato, colpito dalla povertà più totale e dalla
disoccupazione. Una situazione che ha fatto da sfondo alla vittoria politica di Hamas nel gennaio 2006, così come alla recente presa di Gaza.

Oren ricorda che Fatah, pur avendo iniziato la sua esistenza
con velleità laiche e secolari e con la mira di rimpiazzare Israele in
Palestina, si è poi trasformato in un movimento fondamentalista, che predica il
martirio e l’odio contro gli ebrei e i cristiani. D’altronde, non è che Fatah
abbia mai veramente combattuto il terrorismo, anzi.  A parte le condanne pubbliche degli attentati
che sconquassano la vita pubblica israeliana da parte di Abbas, non si è mai
assistito ad una battaglia vera e propria contro le Brigate dei Martiri di al-Aqsa,
responsabili di alcuni dei più atroci attacchi contro civili israeliani. In
sostanza, “Mr. Abbas continuerà a denunciare il terrorismo, mentre ignora le
unità terroriste della sua stessa organizzazione”.

Il tutto porterà, da un lato, all’ulteriore impoverimento
del popolo palestinese e, dall’altro, ad una sempre maggiore affermazione di
Hamas. Davvero non esiste una politica alternativa a quella dei sovvenzionamenti
a Fatah? Secondo Oren gli Usa (ed i loro alleati) dovrebbero lavorare alla
creazione di aree di estesa autonomia politica palestinese in Cisgiordania. In
questi distretti i leader locali palestinesi godranno del potere necessario per
amministrare tutti gli aspetti della vita quotidiana, incluse le questioni
legate alla sanità, l’educazione e le risorse energetiche. Un’assemblea
nazionale, che riunisca rappresentative di ogni distretto, potrebbe incontrarsi
regolarmente  per deliberare sulle
questioni che interessano la West Bank. Le problematiche di sicurezza sarebbero
invece appannaggio di Israele e della Giordania, la cui presenza sarebbe
“cruciale” per convincere i palestinesi del fatto che l’occupazione israeliana è
finita e che in futuro dovranno loro stessi assumersi la piena responsabilità
della sicurezza interna.

Durante la sua visita a Washington, questa settimana, il premier
israeliano Ehud Olmert ha dichiarato che la conquista di Gaza da parte di Hamas può rivelarsi un’opportunità per il popolo palestinese. Ciò potrebbe essere vero, secondo Oren,
ma non nel caso in cui si scelga di riesumare politiche che già da tempo hanno dato prova di essere fallimentari e d’impostare la struttura del futuro stato palestinese sul corrotto e incapace partito al-Fatah. Perché “farlo equivarrebbe a investire nel Titanic”.