Non serve garantire il posto di lavoro: occorrono più stabilità e meno tasse

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Non serve garantire il posto di lavoro: occorrono più stabilità e meno tasse

12 Aprile 2011

E’ difficile contestare ciò che ha scritto due giorni fa Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere a proposito delle giovani generazioni, ricordando la manifestazione di sabato dei precari. Ossia che "il loro è un Paese che riserva ai giovani una condizione di estremo sfavore", e perché "trovare un lavoro stabile è un’impresa disperata".

D’accordo sull’analisi, ma non sulla soluzione suggerita. Cioè quella di "stabilizzare centinaia di migliaia di lavoratori precari", avanzata dallo Storico come un "obiettivo sacrosanto", anche se di non facile realizzazione per ragioni economiche e giuridiche. E’ sbagliata perché non è una soluzione credibile e tanto meno risolutiva. Può andar bene come cura palliativa, ma certamente non è efficace a liberare la società dal male oscuro che può essere indicato proprio in quello "ostracismo alla competizione e al merito" suffragato dallo stesso Galli Della Loggia: "In Italia il sapere e il saper fare contano pochissimo". Stabilizzando le centinaia di miglia di precari si dà giustizia alla competizione e al merito? Certo che no. Anzi si alimenta ulteriore precariato. Cioè, nuove ingiustizie sull’occupazione. 

Se veramente c’è un problema "politico", a cui fa cenno l’Editoriale, non è quello di trovare – e, peggio, garantire – i "posti" di lavoro, ma quello di promuovere occasioni di lavoro e occupazione. Qualunque tipo di "lavoro", quello stabile e quello meno stabile, quello autonomo e quello dipendente, ha un suo valore e una propria dignità da tutelare in ogni aspetto. E’ il mercato del lavoro che ha bisogno di un nuovo progetto di modernizzazione: la novità deve toccare la tradizionale concezione del "diritto del lavoro", che ha lo scopo di inventare e garantire il "posto" di lavoro una volta afferrata l’occasione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. La "stabilità" – che è l’opposto di "precarietà", e che viene ancora oggi assicurata da un’antica norma difesa ad oltranza a ragione di un’atavica diffidenza ideologica verso il mondo imprenditoriale – va spostata dalle imprese sul mercato del lavoro.

Il nuovo progetto di modernizzazione, in una visione d’insieme del mondo del lavoro, deve regolamentare "tutti" i rapporti di lavoro: quello subordinato (o dipendente), quello indipendente (parasubordinato) e quello intraprendente (o autonomo). E tutti con regolamentazioni orientate non alla protezione del posto di lavoro ma a tutelare il “lavoro” in quanto esigenza primaria della persona a prescindere dalla forma di esplicazione (dipendente, indipendente o intraprendente). Insomma, un mercato del lavoro fautore di una rete di tutele che abbracci tutti i cittadini, quelli occupati, quelli inoccupati e quelli disoccupati, e dove il "lavoro" (ossia l’occupazione) prescinde dalla tipologia del rapporto (contratto di lavoro), nell’ottica del valore del "diritto al lavoro" garantito dall’art. 4 della Costituzione.

Tre gli interventi di riforma da auspicare. Il primo richiede una semplificazione della legislazione sul lavoro. Oggi c’è un numero veramente alto di formule contrattuali: oltre al contratto di lavoro subordinato, ci sono le co.co.co. e mini co.co.co., il lavoro a progetto, il lavoro accessorio, la somministrazione di lavoro, e via dicendo. Ciascuna di queste tipologie di contratti di lavoro esiste (ed ha motivo di esistere) perché contiene una "deroga" a qualche vincolo contemplato nel contratto di lavoro subordinato: perché non legittimare queste deroghe e mantenere in vita un solo contratto di lavoro? La semplificazione, allora, potrebbe dar vita solo a "due" tipi di contratti: il "dipendente" e lo "indipendente" (l’autonomo).

Il secondo intervento di riforma richiede la riduzione degli oneri economici sul lavoro (meno contributi, meno tasse). Se oggi esistono le diverse tipologie di contratti di lavoro è anche perché ognuna di esse possiede una propria disciplina previdenziale e contributiva pagata da lavoratori e imprese. Il lavoro subordinato è quello più caro (oltre il 50% della retribuzione va spesa in contributi); le co.co.co. costano di meno (attorno al 30%); i voucher ancora meno (buoni fissi da 10 euro); il lavoro autonomo è compreso nel prezzo delle prestazioni.

Infine, il terzo e ultimo intervento di riforma richiede la riduzione degli oneri giuridici sul lavoro: la flessibilità in uscita. Deve essere rivista la disciplina sui licenziamenti e sul principio di "stabilità" del posto di lavoro (articolo 18). La "stabilità" (articolo 18) va spostata dalle aziende al mercato del lavoro.