Non si può chiedere scusa a chi sparge odio e uccide
03 Marzo 2012
C’è un errore di approccio culturale evidente nel bruciare dei testi del Corano. Ed esso è pesante e insopportabile quando proviene dalla potenza americana oltretutto nella delicatissimo fase di ritiro dall’Afghanistan. Come abbiano potuto gli ufficiali americani decidere di bruciare cento testi del Corano, è difficile da capire. Diremmo che questo presuppone una sorta di cieca innocenza, inammissibile a quel livello di responsabilità.
Potevano stipare i volumi in qualche armadio con tutte le indicazioni e le spiate (forse anche quelli agli occhi dei fedeli, santificate?) che si mandavano per loro tramite i prigionieri. E invece hanno suscitato il finimondo. Ovvero: hanno compiuto, oltre che un brutto sgarbo, anche un errore culturale che sembra un lapsus quasi voluto: il mondo occidentale, dopo tante umiliazioni, ha qui ignorato il fatto che laddove si compiono atti che offendano la religione, là si scatena una violenza delittuosa e incontenibile. Consideriamo dunque l’errore per quello che è stato: non una distrazione, ma una mancanza di rispetto per le altrui opinioni, certamente.
Ma l’errore, il disprezzo per un’altra fede, il semplicismo, non hanno niente a che fare con il meccanismo culturale per cui la violenza è esplosa. Essa, non ci appartiene e non dobbiamo farcene carico. Noi, gli occidentali, siamo stati sciocchi e irrispettosi. Ma se per un attimo pensiamo alla piece del Cristo di Romeo Castelucci, quella della merda, vediamo che il massimo delle reazioni da noi possibile per una violazione religiosa è aggressività, dimostrazioni verbali anche di estrema condanna. Lo scontro è astratto. Dal punto di vista di chi odia che le religioni e la libera opinione in genere vengano offese, e chi scrive è fra questi, un gesto che riguarda un libro, per quanto fondamentale, o una piece teatrale, o un film, o una proclamazione di qualsiasi genere è passibile della critica più micidiale… ma non è accompagnato da omicidio, non da noi.
Invece le caricature di Maometto significano sangue; i libri di Salman Rushdie e di quant’altri richiedono l’assassinio benedetto da fatwe; il film “Submission” di Theo Van Gogh fu seguito da una mostruosa esecuzione nel novembre del 2004; Ayaan Hirsi Ali, una intellettuale somala anche lei rifugiata in Olanda è costretta a fuggire in tutto il mondo, come tanti altri intellettuali inseguiti dall’accusa di essere dei bestemmiatori del Corano. Di più: l’appartenere a fedi diverse dall’Islam o esserne considerati traditori è anch’esso un crimine che si punisce sovente con la morte, come i poveri uccisi della Nigeria, prevalentemente cristiani ma anche musulmani, dall’organizzazione Boko Haram, quella che anche ieri ha ucciso 14 persone, che il 31 dicembre fece 37 morti in Chiesa e 186 il mese scorso.
Essere ebrei è poi un crimine che merita due volte la morte, l’invito a ucciderli è un leit motiv che si insegna ai bambini in moltissime scuole islamiche, seguito ovunque possibile da azioni; cade in questi giorni l’anniversario dell’assassinio di Ilan Halimi, ucciso nel 2006 a Parigi da un gruppo di fanatici che volevano far fuori il loro ebreo. E gli episodi di queste ore in Israele, in cui i palestinesi hanno perso un giovane negli scontri iniziati dalla Spianata delle Moschee, sono partiti con lancio di pietre dall’alto del Muro del Pianto contro gli ebrei sottostanti e nascono di nuovo da parole,dalle affermazioni certo inopportune di un sito di frangia della destra israeliana che invitava gli ebrei a salire sulla spianata, dove un tempo sorgeva il Tempio. Parole che suscitano violenza fino all’assassinio. Ma a noi questo non deve sembrare naturale.
Obama ha chiesto scusa, ma forse avrebbe dovuto specificare che era per la mancanza di rispetto dimostrato verso il Corano e non per nascondersi dall’esplosione di violenza. Nessuno deve pensare che le nostre scuse siano volte a quelli che tirano pietre, spargono odio, uccidono. No: esse sono rivolte ai fedeli non violenti. Il resto, è un grande problema da combattere.
Tratto da Il Giornale