Non vogliamo dover scegliere tra il Caimano e Piazzale Loreto
15 Dicembre 2010
Sulla rete imperversano le immagini finali del film di Nanni Moretti, il Caimano. Vengono definite “preveggenti”, “premonitrici”, e il regista viene celebrato come un oracolo che getta il suo sguardo in un futuro ormai prossimo.
In quelle immagini Moretti-Berlusconi è in piedi davanti ai suoi giudici, pronto ad accogliere con aria di sfida una condanna a 7 anni di reclusione. Uscendo dal tribunale il Caimano arringa i giornalisti e invita tutti “gli uomini liberi” a reagire in ogni modo possibile contro il “regime” che lo vuole in galera. Quando i giudici escono dal tribunale vengono accolti da fischi e boati di protesta, volano sassi e molotov. L’ultima inquadratura è sul volto di Moretti che si allontana in auto, mentre alle sue spalle si alzano le prime rosseggianti fiamme di protesta. Una lieve piega di sorriso muove appena il labbro del Caimano.
Il senso di quella sequenza è chiaro, Berlusconi, anche quando perde si prende la sua rivincita con la canaglia.
La cosa strana è che la rievocazione di quel brutto e cupo film venga a compiersi sull’onda delle brutte e cupe immagini degli scontri e delle fiammate che hanno devastato ieri il centro di Roma. Ma non c’è alcuna preveggenza in quella “narrazione”, anzi, la vicenda del Caimano è agli antipodi rispetto a quanto accaduto ieri.
L’impressione prevalente è che ieri la piazza più estremizzata e violenta fosse pronta a festeggiare la sconfitta berlusconiana e che come dice molto bene Giuliano Ferrara sul Foglio di oggi, alle sue spalle ci fosse la connivenza di “una sinistra imbevuta di bolsa ma aggressiva retorica anti-istituzionale” e “una borghesia priva di senno e di potere coesivo”. Il tentativo, per fortuna sventato dalle forze dell’ordine, sembrava essere quello di piegare la giornata verso una svolta drammatica e sanguinosa, per sventare ogni ipotesi di reincarico e fare invece appello ad un governo di emergenza e salute pubblica.
Invece Berlusconi ha vinto e i programmi degli “sponsor” sono cambiati, non però la violenza della piazza che ormai era stata sguinzagliata e si è tradotta i pura rabbia da frustrazione e distruzione.
Nulla a che fare con il Caimano e con i colpi di coda di un Berlusconi sconfitto che si affida alla canaglia per lasciare la sua impronta maligna sul Paese inerme. Ieri avevamo un Berlusconi risorto, sorridente ed ecumenico, che viene oscurato ai fumi neri degli incendi e dalle buie accuse di mercimonio e di macelleria parlamentare.
Non c’è nulla di rassicurante in tutto questo. Che l’immaginario pubblico sul destino di questo paese sia equamente suddiviso tra una guerra civile evocata da un Berlusconi sconfitto e un’altra guerra civile messa in atto contro un Berlusconi risorto, è al contrario molto triste e preoccupante. Una terza via deve essere possibile. Un momento di conciliazione è necessario.
In primo luogo sarebbe lecito attendersi da Gianfranco Fini una cambio di passo. Le dimissioni sono una questione tra lui e la sua coscienza, ma il modo di condursi alla presidenza della Camera ha un rilievo pubblico, politico e istituzionale. Una partita si è chiusa, si apre una fase nuova, occorre che Fini, se decide di restare dov’è cambi i toni della sua predicazione e induca un cambiamento nell’attitudine dei suoi.
Gianfranco Fini dovrebbe sentire la responsabilità di ricondurre la presidenza della Camera sul tracciato istituzionale che le è proprio. Si sforzi, se è ancora possibile, di restituire al suo ruolo un profilo super partes, eviti di accreditare nel paese l’idea che la sua sconfitta politica sia il frutto del mercimonio parlamentare, che se Berlusconi ha vinto lo ha fatto con metodi turpi mentre chi ha perso si consola alla luce del Vero e del Giusto. Dire agli italiani che ha vinto il peggio e ha perso il meglio significa legittimare la voglia di rivalsa nelle piazze e nello scontro violento.
Eviti accuratamente Fini di evocare “Vietnam parlamentari” contro il governo, perché il napalm metaforico evocato nel palazzo corrisponde alle vere molotov nelle strade. Lasci la conduzione quotidiana del partito a un esponente moderato (qui ttb vuol dire, tutti tranne Bocchino), si tenga fuori dalla gestione politica, niente video-messaggi, convention, interviste a raffica. Distingua se stesso dalla vertigine futurista di fare futuro, dalla tesi dell’”agonia estetica” di Berlusconi, dall’incompatibilità antropologica di cui vuole tardivamente auto- convincersi.
Se ha deciso di collocare Fli all’opposizione lo faccia in modo trasparente e leale, sui contenuti, scegliendo di volta in volta da che parte stare senza pregiudizi. Se un Briguglio qualsiasi torna a ripetere che “mandare sotto il governo ha uno scopo pedagogico e curativo contro Berlusconi” lo smentisca immantinente. Fini non ha convinto come alternativa di governo, ambisca almeno a fornire un modello di comportamento all’opposizione: anche questo fa curriculum.
Lo stesso invito alla conciliazione e alla moderazione andrebbe esteso a tutta l’opposizione e in particolare al Pd. Si è visto ormai oltre ogni ragionevole dubbio che una union sacréé contro Berlusconi, anche la più ampia e assortita non la spunta. Si è rivelata inutile la retorica della spallata – giudiziaria o di palazzo – che non sia quella impressa dagli elettori. Prima o poi Berlusconi cadrà, uscirà di scena, andrà nelle sue Bahamas o nella dacia di Putin a svernare. Sarebbe consigliabile impiegare il tempo che separa da quel giorno a costruire una alternativa credibile al berlusconismo, un’offerta seria sul mercato della politica, non accontentarsi del vago e confuso TTB (tutto tranne Berlusconi) che ha costituito fino ad oggi l’unica strategia condivisa. Anche la sinistra dovrebbe temere l’incanaglimento della piazza e non vellicarlo. Faccia pace con se stessa, con le sue molte componenti e la smetta di considerare il Cav. come il male assoluto e il suo governo un governo di ladri, venduti e mafiosi. Questa “narrazione” corrode la fibra democratica del paese e alla lunga andare manda in frantumi anche le basi del suo consenso.
Ovviamente anche Berlusconi deve fare la sua parte. Sta a lui in primo luogo convincere il paese che la sua parte non vince con la marmaglia, non vince solo perchè compra. Sta anche a lui dimostrare di avere una proposta politica seria, articolata, “alta”. Non fumisterie intellettuali, ma contenuti adeguati ai tempi e alle sfide che attendono il paese. Metta in campo proposte ardite e innovative che costringano anche il dissenso a fare i conti con la complessità e con i vincoli di ogni azione di governo. Non lasci agli avversari il potere affabulatorio di chi fa credere di avere tutte le soluzioni a portata di mano, ma sveli con i fatti – se è il caso – il carattere illusorio delle loro ricette.
Dimostri Berlusconi che il centro-destra e il suo governo non vivono di avanzi parlamentari raccolti alla bisogna, ma ha idee e valori e storia e sostanza non effimeri, non passeggeri, non legati al suo potere corruttore ma destinati ad essere la sua eredità per il futuro. Non ha tutto il tempo del mondo, ma certamente quanto basta.
Su questo giornale un po’ pirata spesso scherziamo, ci piace l’ironia e odiamo prenderci troppo sul serio. Questa volta lo diciamo senza sorridere: non può esserci per l’Italia solo la scelta tra l’epilogo del Caimano e quello di piazzale Loreto.