Norcia/1 E’ il rispetto della realtà a dare una dimensione etica alla scienza
13 Ottobre 2007
Si è aperto oggi, nella splendida cornice della Città di Norcia, l’incontro del ciclo “A Cesare e a Dio”, dal titolo: “Religione, scienza e la prova della ragione”. Il convegno, giunto alla sua III edizione, è organizzato dalla Fondazione Magna Carta, in collaborazione con la “Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II per il Magistero Sociale della Chiesa” e con la “Fondazione Sublacense Vita e Famiglia”, con sostegno del Comune di Norcia e il contributo di Booz Allen Hamilton.
Gli indirizzi di saluto non si sono limitati al rituale ringraziamento degli intervenuti e dei relatori, ma hanno, piuttosto, impresso una precisa direzione ai lavori.
Gaetano Quagliariello, Presidente della Fondazione Magna Carta, ha ricordato quale sia l’intenzione degli “Incontri di Norcia”. Essi costituiscono occasioni di condivisione fra credenti e non credenti e nascono nel 2005 quando l’allora Card. Ratzinger diresse da Subiaco un appello a tutti i non credenti affinché ragionassero etsi Deus daretur (come se Dio esistesse). Così si diede avvio a questa esperienza volta a spingere al dialogo persone di diverse estrazioni culturali, al fine di trovare i punti in comune.
Il primo incontro ebbe per tema “Libertà e laicità”, dal quale sono nate riflessioni sulla “sana laicità”, sulla “laicità cristiana” e sulle “nuove ragioni della laicità”. Il secondo incontro s’incentrò sul rapporto fra “Religione e spazio pubblico”. Il Senatore ha, poi, fatto riferimento al pontificato di Benedetto XVI e al discorso di Ratisbona e ha stimolato gli intervenuti sul rapporto fra fede e ragione, con particolare riferimento alla necessità per la scienza di non deviare dai canoni dell’umanità.
Luisa Santolini, Presidente della Fondazione Sublacense Vita e Famiglia, ha evidenziato la centralità degli Incontri di Norcia nella riflessione antropologica contemporanea. Ha riflettuto sulla frattura fra scienza e religione, chiedendosi se la ricomposizione sia davvero impossibile. Il discorso di Ratisbona è stato, ancora una volta, richiamato al fine di segnalare la centralità del logos per l’inizio della conoscenza scientifica. Santolini ha concluso il suo intervento facendo appello alla promozione del dialogo e all’abbandono della tracotante presunzione di autosufficienza delle proprie conoscenze.
Marco Ferrini, Presidente della Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II, ha definito il meeting norcino, un incontro fra “cattolici non clericali e laici non laicisti”. Ha richiamato un passaggio del libro “Il senso religioso” di Don Giussani, che narra dell’esperienza di un grande matematico, Francesco Severi, il quale più approfondiva le sue ricerche, più traguardi perseguiva, più si accorgeva di stare andando incontro all’infinito. Questi era amico di Einstein e poco tempo prima della morte, in una chiacchierata privata, del quale Severi rese conto in una terza pagina del Corriere della Sera, il teorico della relatività gli disse: “chi non ammette l’insondabile mistero, non può nemmeno essere uno scienziato”.
Dicendo questo, Ferrini ha di fatto avviato la relazione di Francesco D’Agostino, il quale ha autodefinito il suo discorso: “elogio della scienza, fatto da un credente, in nome della ragione”.
Il discorso ha preso le mosse dall’antagonismo radicale di parte della scienza nei confronti della Chiesa cattolica. D’Agostino ha evidenziato che detta contrapposizione non trae origini da basi epistemologiche, ma, piuttosto, da questioni eminentemente sociologiche (si veda a tale proposito la ricostruzione che offre della questione G. Weigel, La cattedrale e il Cubo, Rubbettino, 2006). Fino ad un certo momento storico, infatti, i più grandi scienziati sono cristiani, è Voltaire che inizia a irridere la religione, mediante la contestazione di Eulero, grande matematico, col difetto (a dire di Voltaire) di una profonda pietà personale.
D’Agostino si è chiesto di quanta etica ha bisogno lo scienziato, se la libertà scientifica debba slegarlo da ogni riferimento assiologico, oppure se la scienza, per essere veramente tale, debba avere dei riferimenti morali. C’è chi ritiene che la dimensione etica è assolutamente imprescindibile ed ha dei contenuti ben definiti dai quali non si può abdicare, e chi, al contrario, ritiene che “il miglior scienziato è il più bravo e non il più buono” (e, quindi, che debba esservi una libertà totale, assoluta ed incondizionata). Fra questi due estremi, tuttavia, potrebbe esservi una mediazione che potrebbe risultare teoreticamente sterile, ma, certamente, anche la via della frontale contrapposizione è sterile. La posizione mediana potrebbe consistere nel “rispetto della realtà”.
L’illustre relatore ha declinato il parametro del “rispetto della realtà” in tre punti: rispetto per i dati empirici (se i dati contraddicono le aspettative dello scienziato, questi dovrà abbandonare l’assunto e non manipolare i dati per validare l’ipotesi); rispetto per la molteplicità dei diversi usi linguistici che è possibile adottare per denominare il reale; rispetto per le dinamiche relazionali attraverso le quali si percepisce la realtà (ciò implica, fra l%27altro, di riconoscere l’eguaglianza ontologica degli esseri umani).
Prescindere dal “rispetto della realtà” conduce, secondo l’impostazione del professor D’Agostino, all’ideologia che è “falsa conoscenza” e “falsa coscienza”, è falsificazione del reale.
L’etica non è solo norma, non è soltanto un codice di precetti e divieti. Ethos, in greco, significa casa: l’etica è esperienza di vita, la casa in cui abitiamo, i dubbi angosciosi e le crisi di coscienza che ci poniamo, lo spazio che ci costruisce nella nostra identità.
Il filosofo ha anche posto l’accento sulla “gratitudine” che l’utente prova verso lo scienziato e, specie, verso il medico e non soltanto in quanto depositario di una conoscenza specifica, ma, piuttosto, in quanto uomo in relazione con un altro uomo, suo pari.
Al termine della relazione, D’Agostino si è esposto al fuoco di fila delle domande del pubblico. Le questioni, poste da interventori di chiarissima fama, sono state di indubbia rilevanza e hanno aperto problematiche molto importanti. A cominciare da Gianluca Sadun Bordoni che, con riferimento ai presupposti trascendentali della scienza, ha richiamato la posizione di Kant che diceva di avere dovuto sacrificare il sapere per fare spazio alla fede; per continuare con Cesare Cavalleri che ha trattato dei binomi “scienza-verum” ed “etica-bonum”, rilevando che esiste un terzo trascendentale, il pulchrum, il quale, mediante una impostazione estetica della realtà, riesce a coniugare verum e bonum e, pertanto, scienza ed etica; proseguendo con Girolamo Cotroneo che ha evidenziato che v’è differenza fra lo scontro scienza-religione e lo scontro scienza-etica, l’ultimo, in particolare, non si dava in quanto vigeva il principio per cui scienziato agisce per il bene dell’umanità…tanto è stato vero solo fino alla scoperta della bomba atomica; il Gianluigi Gigli ha trattato della questione delle chimere e della centralità del metodo; Massimo De Angelis del rapporto fra libertà e verità e fra verità e tolleranza; Guglielmo Castagnetti che ha evidenziato la difficoltà di impostare la problematica dei limiti delle scienze in una realtà globalizzata, che vede al suo interno degli Stati in cui la questione etica non esiste (i cd. Stati-canaglia); Giorgio Israel ha focalizzato sul rapporto fra razionalità oggettiva e mondo; Giuseppe Longo ha sottolineato come le questioni trattate soffrano di una idealizzazione eccessiva degli scienziati che, invece, normalmente, si pongono pochissimi problemi di ordine etico; Raimondo Cubeddu che ha sollecitato una riflessione sulla razionalità intrinseca del creato, provocando con una domanda circa la funzione delle zanzare…
Il prof. D’Agostino ha risposto alle sollecitazioni di cui s’è fatto sommario, chiarendo (con riferimento a Sadun Bordoni) che “Kant è uno di noi”, tanto che per l’aggiornamento della Donum vitae, la Congregazione per la Dottrina della Fede, attinge a piene mani dall’autore. Quanto al pulchrum del prof. Cavalleri, il relatore ha affermato che la distinzione fra bonum e verum è metafisicamente vera, ma antropologicamente fragile, in quanto scompare nel vissuto e che la bellezza è l’unica idea (in senso platonico) alla quale noi ci accostiamo non intellettualmente ma sensibilmente. D’Agostino ha, poi, precisato che ogni conoscenza è di per sé buona, in quanto anche nei Testi sacri si legge che non c’è nulla di nascosto che non debba essere svelato. Le conoscenze rivolte al male, infatti, non costituiscono vera scienza: la scienza è sempre indirizzata al bene.
Replicando a Longo, ha detto che i ricercatori non si pongono problemi etici così come non se li pone ciascuno di noi quando compie operazioni di routine e a Cubeddu ha risposto che c’è una razionalità intrinseca del mondo sociale e che, se ciò non fosse, si affiderebbe tutto alle logiche della forza.
In video-conferenza è intervenuto il prof. Robert Spaemann, il quale, partendo dalla distinzione fra scienze umane e scienze naturali, ha elencato i vari tentativi di portarle ad unità e ne spiega il relativo fallimento.
Sergio Belardinelli ha posto l’interessante interrogativo circa la finalità delle conoscenze: la scienza, l’economia, i diversi sistemi sociali sono finalizzati all’uomo o a cosa?
Eugenia Roccella, poi, ha sottolineato come il sapere scientifico si trasferisca dai laboratori alle nostre case per il tramite delle tecnologie e che, quindi., noi abbiamo molta confidenza con la tecnica ma non con la scienza. Cosa propone la scienza, oggi: una vita senza dolori, senza malattia, senza morte. Sottolinea l’interventrice come questa sia l’ultima utopia contro l’immortalità, come dalle utopie politiche del XX secolo (che si articolavano sul piano sociale) si sia passati all’utopia del XXI sec. (che si muove sul piano genetico). L’intento ultimo parrebbe essere quello di distruggere l’orizzonte della trascendenza. Il mezzo, spesso confessato, è il playing God: giocare ad essere Dio, entrare in gara con la creazione e, se possibile, modificarla. Ha infine sottolineato quanto inquietante sia l’opinione comune secondo cui solo gli scienziati possono giudicare gli scienziati: una nuova autodichia…
Da ultimo è intervenuta Cecilia Saccone che studia l’evoluzione molecolare e la biodiversità. Ha sottolineato come rispetto e amore per il prossimo debbano essere gli scopi che orientano la ricerca e che anche la religione fa parte del patrimonio genetico dell’uomo. Ha affermato che l’uomo è intrinsecamente religioso, ha sete di infinito ha una dimensione verticale insopprimibile.
Questo il resoconto della prima giornata. Appuntamento a domani!