Nostalgici e “utili idioti”, i nemici odierni della procura di Bari

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Nostalgici e “utili idioti”, i nemici odierni della procura di Bari

21 Aprile 2011

di M.M.

Che esista un serio problema, in Italia, relativamente al rapporto esistente tra politica e giustizia, lo dimostra il caso della Procura di Bari. Una dimostrazione che paradossalmente vale persino di più di quella fornita dal modus operandi della Procura di Milano, dove lo squilibrio è talmente evidente che si potrebbe anche pensare a un caso estremo e isolato. Invece, osservando il turbinio politico che avvolge – più o meno direttamente e suo malgrado – la procura barese, si ha la prova provata che il problema esiste davvero ed è diffuso, specialmente laddove sono in ballo inchieste politicamente e mediaticamente sensibili.

L’ultima conferma dell’attento occhio politico che scruta ogni mossa della procura di Bari è arrivata proprio da chi, negli ultimi giorni, ha tirato fuori la storia del "caso del caso D’Addario". Sono bastate le illazioni sui dissapori esistenti tra il pm Giuseppe Scelsi e il procuratore generale Antonio Laudati, condite da un’analisi argutamente dietrologica del Fatto Quotidiano per imbastire, a partire da un’indagine della magistratura, una trama tutta politica: in sostanza – come esplicita in maniera più diretta Dagospia – all’interno della procura di Bari si giocherebbe un "finale di partita" non tanto sulla posizione penale di Tarantini, ma sul destino delle intercettazioni che coinvolgerebbero il premier e che domani potrebbero finire sui giornali.

Stesso discorso varrebbe per la richiesta di proroga delle indagini preliminari avanzata dalla procura barese nei confronti dell’ex vicepresidente della giunta regionale pugliese Sandro Frisullo (Pd), accusato di aver ricevuto escort e denaro da Tarantini in cambio di vantaggi per le sue società nell’aggiudicazione di appalti presso la Asl di Lecce, motivata dai pm con la necessità di "stabilire il ruolo dell’indagato e la portata delle sue azioni criminali". Anche in questo caso, si fa presto a fare 2+2=5 e a dare nuovamente un’interpretazione politica a ciò che, più semplicemente, rientra non solo nelle prerogative, ma anche nei doveri della magistratura.

Già, perché in un mondo al contrario come quello in cui viviamo oggigiorno, almeno per quanto riguarda l’andamento della giustizia, è troppo strano vedere una procura che, a differenza delle altre, si muove con i piedi di piombo vista la delicatezza delle questioni trattate e chiede di avere tempo ed elementi sufficienti per portare avanti un’inchiesta nel rispetto dei diritti di entrambe le parti e delle garanzie previste dalla Costituzione. E’ talmente strano (e forse, per alcuni, poco gradito) che subito qualcuno si sente in dovere di rimettere le cose al loro (vecchio) posto.

Una volta, infatti, alla procura di Bari tutto funzionava come avrebbe dovuto. I pm portavano avanti indagini giuste e lo facevano nel migliore dei modi, gli imputati godevano di tutte le garanzie costituzionalmente previste, le proroghe servivano a fare maggiore chiarezza e le dichiarazioni sibilline del mondo politico a proposito di eventuali "scosse" in arrivo erano solo frutto di premonizioni. Una volta, era prassi pressoché consolidata (e normale) passare dalla carriera in procura a quella in politica attraverso una porta girevole con uscita a sinistra, come è stato nel caso di Alberto Maritati, Michele Emiliano, Gianrico Carofiglio e Lorenzo Nicastro.

Mutatis mutandis, per i "sinistri" interpreti della politica oggi, invece, è tutto diverso. I pm fanno richieste "interessate", gli imputati vengono privati del diritto a conoscere gli elementi posti a fondamento delle accuse e vengono ugualmente privati della possibilità di potersi difendere dimostrando la propria estraneità alle ipotesi di reato; quanto alle proroghe, sono soltanto una escamotage per rallentare il corso di un’indagine anziché un modo per vederci più chiaro. Per ipotizzare un certo contatto tra Palazzi e procure, poi, oggi basta molto meno di qualche premonizione. E se prima non era neppure concesso nutrire qualche perplessità sui metodi di conduzione di certe indagini (e su certe strane coincidenze), ora invece ci si appella al fumus persecutionis di questa procura come unica via di uscita da una situazione in alternativa alla quale rimane solo l’arresto. Il caso Tedesco docet: la semplice ipotesi garantista, nel nuovo contesto, non viene presa in considerazione.

Che avvenga per conferma o per confutazione, insomma, la prova di un rapporto patologico tra politica e giustizia in Italia esiste ed è sotto gli occhi di tutti, come il caso di Bari – sia per un verso che per l’altro – dimostra. Come vanno le cose lo sanno anche i cosiddetti "insospettabili", quelli che di facciata condannano certe dinamiche salvo, poi, incentivarle sottobanco per cercare nascostamente (e meschinamente) di trarne vantaggio. Che poi, sono gli "utili idioti" di cui ne è pieno il mondo (e la politica).