“Nuclear Security Summit”, le sanzioni sono inutili se facciamo affari con l’Iran
12 Aprile 2010
Nei giorni scorsi, lo “zar” obamiano delle armi di distruzioni di massa, Gary Samore, ha dichiarato: “Occorre sconfiggere le possibilità di furto, commercio illegale e contrabbando di materiali pericolosi come l’uranio arricchito e il plutonio”. E’ l’obiettivo implicito del summit che si tiene oggi a Washington per compattare la comunità internazionale sulla questione iraniana, spingendo i “grandi esitanti” come Cina e Russia a votare nuove sanzioni in Consiglio di Sicurezza. Le sanzioni dovrebbero colpire le Guardie della Rivoluzione, che intanto sfuggono alle verifiche internazionali grazie ai loro floridi interessi nell’economia iraniana e proseguono nell’arricchimento dell’uranio con scopi militari.
Si andrebbero quindi a intensificare i controlli sulle grande rotte trans-portuali che permettono a Teheran di aggirare i controlli, acquistando sul mercato le componenti tecnologiche necessarie al suo decollo nucleare e riuscendo a trasportarle in segreto nel Paese. E’ notizia della settimana scorsa che una azienda iraniana legata al gruppo Kalaye Electric Company, specializzato in ricerca e sviluppo e a sua volta collegato alla Atomic Energy Organization dell’Iran (AEO), è riuscita a ottenere delle preziose valvole e altro hardware utile al processo di arricchimento dell’uranio. Nel 2006, sia la Kalaye che la AEO sono state condannate dalle Nazioni Unite per aver favorito le attività nucleari del regime, eppure gli iraniani continuano a fare affari sotto il naso delle autorità internazionali. Se da una parte questo stato di cose è spiegabile con la debolezza di strumenti diplomatici come le sanzioni economiche (sarebbe diverso il caso di un embargo o di un blocco navale attorno all’Iran), d’altra parte dobbiamo ammettere che è anche colpa nostra, e cioè dei Paesi occidentali, se il regime di Ahmadinejad è entrato in possesso di questi materiali.
Lo scorso 14 gennaio l’AIEA riceve una email anonima. Nell’oggetto del messaggio si legge: “Agli ispettori che si occupano del programma nucleare iraniano”. Il testo denuncia la vendita delle valvole all’Iran e fa il nome di un intermediario, tale Vikas Kumar Talwar, ad oggi irreperibile, che avrebbe lavorato come agente per procura della Zheijiang Ouhai Trade Corp. of China, una sussidiaria dello Jinzhou Group, fornendo il materiale all’Iran. La Cina, tramite le sue aziende, ha favorito il trasporto delle valvole dai Paesi produttori a quello compratore. Ma chi ha costruito e venduto quelle valvole? La Francia di Sarkozy è attualmente il Paese più disposto a votare le sanzioni contro l’Iran se il governo americano lo chiedesse, eppure è stata proprio una compagnia francese, la KD Valves-Descote, specializzata nella produzione di hardware per l’industria chimica e nucleare, a produrre le valvole e a venderle sul mercato degli Stati Uniti con licenza del Dipartimento dell’Energia americano. Lo scorso dicembre, l’azienda francese è stata assorbita nel conglomerato Usa Tyco International ed è in questo periodo che va situata la vendita del materiale proibito agli iraniani.
Il Presidente della KD Valves e gli uomini della Tyco hanno smentito di aver avuto relazioni commerciali con Pechino. L’intelligence Usa si è rifiutata di commentare l’accaduto. Accertare le violazioni al regime delle sanzioni imposte all’Iran dovrebbe essere compito del Dipartimento del Tesoro, ma né le aziende iraniane, né l’ubiquo signor Talmar, né la Zheijiang Ouahi appaiono nella lista nera delle compagnie o degli individui che in passato hanno violato le sanzioni, secondo le autorità americane. Gli investigatori però continuano a registrare casi di componenti tecnologiche dirette in Iran, via Emirati Arabi, Singapore, i porti cinesi e quelli della Malaysia. “Dal 2001, abbiamo interrogato i dirigenti di almeno 18.000 aziende in affari con Teheran,” spiega Clark Settles, un funzionario esperto di contro-proliferazione della Homeland Security. Il traffico di armi dirette in Iran scoperto in Italia il mese scorso è solo un esempio di questa rete capillare. Secondo il New York Times, negli ultimi dieci anni le multinazionali Usa e le compagnie straniere avrebbero chiuso contratti e benefits con l’Iran per oltre cento miliardi di dollari.