Nucleare iraniano, tutti i dubbi restano

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Nucleare iraniano, tutti i dubbi restano

26 Novembre 2013

E’ difficile esprimere una valutazione sull’accordo raggiunto a Ginevra sul nucleare iraniano. Salutata dal Presidente Obama come un passo verso un mondo più sicuro, l’intesa è stata invece al contrario accolta in termini assai critici da Israele per il quale questa costituisce solo un gigantesco errore, in quanto in cambio dell’allentamento delle sanzioni e del riconoscimento a Teheran del diritto ad arricchire uranio, si ottengono dal regime iraniano solo impegni generici che potrebbero essere violati in poco tempo.

Stando a quanto previsto, l’accordo ha una durata di sei mesi entro i quali si dovrebbe arrivare ad un’intesa definitiva ed impegna l’Iran a non arricchire l’uranio oltre il 5% in cambio dello sblocco di 4,2 Miliardi di Dollari depositati nelle banche asiatiche provenienti dalle vendite petrolifere e dall’allentamento di alcune sanzioni riguardanti il commercio di auto, oro, preziosi e prodotti petrolchimici. Ed è proprio sugli effetti che produrrà l’intesa che le opinioni divergono profondamente.

I sostenitori affermano come l’intesa, allentando le sanzioni attuate nei confronti di Teheran, possa risollevare l’economia iraniana, favorire gli elementi più moderati all’interno del regime e portare ad un riavvicinamento tra l’Iran ed i Paesi arabi moderati rafforzando così la stabilità della regione. Per i critici invece, tra i quali spicca appunto il Premier israeliano Netanyahu, l’accordo finirà per rafforzare solo l’ala più conservatrice del regime ma, soprattutto, consentirà a Teheran di continuare nel processo di arricchimento dell’uranio permettendogli così di guadagnare tempo per proseguire nella realizzazione del suo programma nucleare. Inoltre, si fa notare come le intese finora raggiunte con altri Paesi riguardo allo smantellamento dei loro progetti atomici abbiano avuto successo solo nel caso della Libia in quanto il programma di Tripoli era allo stato iniziale, mentre le stesse non hanno prodotto risultati soddisfacenti nei confronti della Corea del Nord come dimostra il fatto che, a sei anni di distanza dall’accordo con cui il regime nordcoreano si impegnava a spegnere i suoi reattori nucleari, Pyongyang sta ora invece procedendo allo loro riattivazione.

A rinforzare poi i dubbi dei critici all’accordo di Ginevra contribuisce anche lo scetticismo espresso dall’Arabia Saudita. Anche se ufficialmente il governo saudita ha accolto positivamente l’accordo Riyadh, al pari degli altri Paesi del Golfo, continua a guardare con inquietudine alle scelte di Teheran, ritenendo come il pragmatismo mostrato dai negoziatori iraniani contrasti con il fatto che gli elementi più intransigenti siano tuttora in maggioranza all’interno del regime iraniano. Per gli analisti un eventuale riavvicinamento tra Teheran e Washington potrebbe quindi non solo spingere Riyadh a rafforzare la cooperazione con le altre monarchie moderate della penisola, ma anche convincere il regime saudita a realizzare un proprio dispositivo nucleare contando sulla collaborazione tecnica del Pakistan.

Chi esce sicuramente rafforzato dopo l’accordo è sicuramente il regime di Assad. L’ipotesi di un’azione militare pare ormai esclusa e ben difficilmente nei prossimi mesi la Casa Bianca adotterà una politica più rigida nei confronti di Damasco per non irritare Teheran e far naufragare gli accordi appena raggiunti. All’interno dello stesso Congresso non mancano poi i parlamentari per i quali l’intesa offrirebbe troppe concessioni a Teheran, mentre gli stessi servizi d’intelligence hanno affermato come l’accordo può rallentare il programma nucleare iraniano solo per pochi mesi ma non certo fermarlo del tutto. Non è un caso quindi che il Segretario di Stato Kerry abbia dichiarato come quello siglato a Ginevra sia solo uno strumento per favorire il raggiungimento di un’intesa definitiva nei prossimi mesi e non certo un passo decisivo nella risoluzione del problema iraniano.

Quello che però più getta un’ombra sull’intesa è la struttura del programma nucleare iraniano insieme alla possibilità che Teheran disponga di impianti nascosti dove procedere all’arricchimento dell’uranio al di fuori di ogni controllo della comunità internazionale. Lo stesso programma nucleare iraniano avrebbe poi registrato negli ultimi anni sensibili progressi, cosa che renderebbe dunque ancora più complicato il compito dei negoziatori. Secondo quanto riferito dal “The New York Times”, le stime dell’AIEA indicano che oggi Teheran dispone di almeno 9 Kg di Uranio e di 18.000 centrifughe rispetto ai 2 Kg ed alle poche migliaia di appena quattro anni fa, un dispositivo sufficientemente capace di consentire all’Iran di produrre un ordigno nucleare.

Uno stop completo del processo richiederebbe quindi lo smantellamento di tutte le centrifughe, il trasporto del materiale fissile fuori dal Paese o la sua conversione in uno stato che impedisca l’uso a fini militari ed infine il controllo da parte degli osservatori di tutti i siti presenti sul territorio iraniano, condizione alle quali il regime degli ayatollah non accetterebbe mai di sottoporsi. Ed a rinforzare i dubbi sulla trasparenza delle intenzione iraniane ha contribuito poi anche un’analisi apparsa domenica sul quotidiano francese “Le Figaro” nella quale si citano nuovi elementi che dimostrerebbero come Teheran continui nel suo programma di arricchimento. Questi svelerebbero l’esistenza di un impianto segreto, situato a Shiraz ed indicato con il nome di “IR-10”, utilizzato per la separazione del plutonio, elemento questo che smentirebbe la tesi iraniana per cui il loro programma avrebbe esclusivamente uno scopo civile. I dubbi quindi restano. L’intesa di Ginevra, più che una svolta storica, costituisce per il momento solo il primo, piccolo passo di una trattativa lunga e difficile.