Nuovi equilibri nel centrodestra con il gruppo di “responsabilità nazionale”
20 Dicembre 2010
Nella rottura tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sono due le date che contano. La prima è il 22 aprile, il giorno della Direzione Nazionale del Pdl (che in ambienti parlamentari è definito “il giorno delle dita alzate”) in cui i due si sono affrontati a viso aperto consumando lo strappo interno al partito. La seconda è il 14 dicembre, la giornata conclusasi con la fiducia ottenuta dal governo Berlusconi e la sconfitta della linea “ribaltonista” dei finiani. Sono stati otto mesi caratterizzati da una battaglia campale nella quale, alla fine, è stato determinante il ruolo dei ‘mediatori’, che compiendo un “ribaltone nel ribaltone” hanno garantito al governo (con un pugno di voti) la maggioranza, sventando il tentativo del presidente della Camera di segare le gambe al tavolo dell’esecutivo. Fra questi Silvano Moffa, deputato ex Fli ora passato al Gruppo misto, che il 14 dicembre a Montecitorio ha deciso di non votare la sfiducia decretando così la vittoria del Cavaliere. Ora l’ex An sta lavorando alla creazione di un gruppo parlamentare “di responsabilità” che sosterrà il governo nella realizzazione delle riforme. Secondo indiscrezioni a seguirlo dovrebbero essere le altre ex colombe finiane Catia Polidori, Maria Grazia Siliquini e Giampiero Catone, anche se nel Pdl si scommette su altri cinque o sei indecisi di Fli che potrebbero mettersi sullo stesso cammino.
Onorevole Moffa, cos’è il gruppo di “responsabilità nazionale” che ha annunciato di voler formare?
E’ un gruppo parlamentare in linea con quel documento (documento Moffa-Augello, ndr) proposto insieme ad alcuni colleghi per sbloccare la fase di stallo in cui riversa l’Italia e per superare il clima di scontro che negli ultimi mesi c’è stato nel centrodestra. L’intento è quello di avviare una fase politica costruttiva.
Chi farà parte di questo gruppo?
Ho già raccolto delle adesioni. Ma la cosa importante, più che i numeri, è l’intento. Credo che la cosa più importante sia anteporre gli interessi comuni a quelli egoistici. Visto che il paese non ha bisogno del voto anticipato ma di essere governato bene, dobbiamo creare le condizioni per la stabilità.
Lei ha detto che il gruppo sarà sensibile alle questioni etiche e al rilancio dell’economia. Crede che su questi temi il centrodestra non abbia fatto abbastanza?
No. Anzi, credo che su questi temi ci sia una sensibilità trasversale all’interno del Pdl. Ma sulle questioni che attengono alla coscienza individuale c’è bisogno di un dialogo aperto anche all’interno dello stesso schieramento.
Non c’è il rischio che la frammentazione del centrodestra diventi un freno per l’azione di governo?
Il gruppo dovrebbe garantire una maggioranza più ampia, che è proprio quella che serve per fare le riforme. Ma sarà fatto lasciando inalterato il quadro bipolare. Vede, la politica deve tornare ad essere il luogo del progetto, del confronto e dell’ambiziosa prefigurazione di percorsi futuri. Il braccio di ferro al quale siamo arrivati, che io avevo sempre tentato di evitare, ha appagato il dato numerico ma il fatto che manchi la politica è una questione ancora irrisolta.
Che tipo di dialogo ci sarà tra il suo gruppo e il Pdl?
Un dialogo aperto per discutere i provvedimenti che il governo dovrà varare. Concorreremo insieme al governo per definirli, ma con un senso di assoluta lealtà verso il centrodestra.
Il 14 dicembre la fiducia al governo è passata per pochissimi voti e da più fronti si è gridato allo scandalo per la presunta compravendita di parlamentari. Cosa dice quando sente parlare di "calciomercato"?
Ci sono più questioni da chiarire. Che siamo di fronte a una crisi politica è innegabile. Ma quando ho tentato di avviare un confronto tra Fini e Berlusconi, ho cercato di farlo recuperando la politica, con un documento in cui si tracciava una road map che indicava alcuni punti chiave: la questione sociale ed economica, la riforma del sistema elettorale per una restituzione della possibilità per gli elettori di scegliere i propri rappresentanti e il rafforzamento del bipolarismo. L’intento era quello di recuperare alcuni valori che sono tradizionalmente della cultura di destra.
Però ha cambiato più volte schieramento. Cos’è successo?
Io vengo dal Msi, che ha rappresentato qualcosa di importante in termini di rappresentanza storica nel dopoguerra. Ma già nel 1993 avevo maturato la consapevolezza che quell’esperienza si era esaurita perché il mondo stava cambiando. Quindi è nato An, un partito che era stato capace di inglobare culture politiche diverse e arrivare a una nuova sintesi. Poi, con il ‘predellino’ e la fusione di An con Forza Italia determinata dalla contingenza elettorale, è venuta meno la contaminazione tra esperienze culturali. Senza un radicamento culturale non c’è nemmeno un progetto politico. Nel Pdl c’era un grande leader prima ancora che il partito esistesse e la necessità di governare il Paese ha fatto dimenticare la costruzione di un soggetto politico.
E’ per questo che è passato a Fli?
Sono uscito dal Pdl perché Fini aveva posto alcune questioni che riguardavano il governo interno al Pdl, cioè quei problemi che erano emersi dalla fusione tra An e Forza Italia. Con Fli speravo si rimettesse in marcia la politica vera, ma quando mi sono accorto che il percorso portava addirittura a superare le Colonne d’Ercole, portando la destra (che nel corso dei decenni si è qualificata e rinnovata) sulle altre sponde, la mia storia e la mia sensibilità politica non mi hanno permesso di andare avanti in quel progetto. Fini ha sbagliato politicamente e strategicamente, e ora rischia di essere subalterno a Casini e al centrosinistra.
Cosa è cambiato negli intenti originari dei futuristi?
Nel corso di poco tempo ci sono state trasformazioni di natura antropologica. Si è passati da una visione di governabilità e di senso di responsabilità verso i propri elettori alla collocazione politica del gruppo nell’opposizione. E’ stato costituito un terzo polo, per il quale personalmente ho più di una perplessità, che non è nelle corde del Paese e nemmeno in quelle del nostro meccanismo elettorale.
Sono state le posizioni oltranziste dei cosiddetti “falchi” finiani a mettere in secondo piano la volontà di chi era pur disposto a collaborare con il governo?
Ci sono delle posizioni all’interno di Fli rispetto alle quali io mi sentivo molto lontano. Ma l’area moderata che io ho cercato di rappresentare era maggioritaria. Se ci fosse stato un dialogo interno non ci sarebbe stato alcun problema da parte mia. Poi, nonostante i miei tentativi di ricucire una frattura tra Pdl e Fli per evitare deragliamenti, mi sono accorto che il treno andava in realtà verso una stazione che non era la mia. E purtroppo il conducente del treno è Gianfranco Fini.
Per lei cosa rappresenta il terzo polo?
E’ l’antiberlusconismo sul quale è impossibile costruire un progetto politico. Il rischio di portare il Paese a contrapposizioni negative mi ha spinto a fare scelte chiare, seppur dolorose.
Fini voleva essere un leader, ma sembra che ad avere la meglio sia stato Casini.
In questo momento è Casini che dà le carte. Ad ogni modo mi pare difficile che nell’ambito del terzo polo si possa fare una sintesi identitaria e culturale tra le posizioni di Casini, Fini e Rutelli. Ci sono tante questioni, come etica e immigrazione, che all’interno di quel polo rischiano di diventare esplosive dal punto di vista politico.
Secondo lei Casini vuole collaborare con il centrodestra solo nella misura in cui l’Udc possa sostituirsi alla Lega nei rapporti con il Pdl?
Non bisogna assumere un atteggiamento pregiudizialmente antagonista nei confronti della Lega. Si deve invece tentare un riequilibrio rispetto alla Lega. E’ evidente che lo squilibrio c’è, ma lo si recupera con l’intelligenza, non con la contrapposizione. Dobbiamo far maturare anche nel settentrione un’idea di Nazione unita che passa attraverso il riconoscimento della questione del Mezzogiorno come una questione nazionale. Questo era il lavoro politico da fare affinchè l’alleanza con la Lega fosse stabilita nell’interesse dell’Italia.
I centristi, dopo il fallimento della linea ‘ribaltonista’ di Fli, potrebbero rappresentare quell’elemento di equilibrio?
Questo lo vedremo nel tempo. Se il terzo polo apre al dialogo costruttivo consentendo di fare le riforme di cui il Paese ha bisogno è positivo. Se invece cercherà solo di creare le condizioni dell’instabilità parlamentare allora sarò di tutt’altra opinione.