Obama a un passo dalla nomination ma Hillary non è ancora ko
22 Maggio 2008
Ma cosa devo fare con Hillary? Nessuno ha sentito Barack Obama pronunciare queste parole in pubblico, ma c’è da giurare che il pensiero sia venuto alla mente del senatore dell’Illinois più di una volta negli ultimi giorni. Con il doppio appuntamento delle primarie di martedì scorso in Oregon (vinte da Obama) e Kentucky (stravinte dalla Clinton), il senatore afro-americano ha superato quota 1627, ovvero la metà dei delegati eletti su base popolare. Il giovane candidato democratico è andato anche incrementando il numero dei superdelegati (i big del partito dell’Asinello). La nomination sembra davvero a portata di mano: “within reach”, come ha sottolineato gongolando il nuovo divo della politica a stelle e strisce. Eppure, Hillary non molla. E ciò nonostante – come ha ricordato sarcastico Roger Simon su The Politico.com – le sue vittorie a valanga (West Virginia e Kentucky nel giro di una settimana) non interessino ormai più a nessuno. “Sono determinata più che mai”, ha ribadito Hillary incurante delle critiche nel suo “victory speech” a Louisville, “a rimanere in corsa fino a quando ogni voto sarà contato”.
La testardaggine della ex First Lady sta mettendo in seria difficoltà Barack Obama, che mentre viene attaccato da John McCain (soprattutto sulla politica estera, da ultimo su Iran e Cuba) deve allo stesso tempo difendersi dai colpi di Hillary. Come ha notato John Dickerson sul magazine progressista Slate, il senatore di origine keniane ha di fronte a sé un dilemma: se non preme affinché Hillary ceda verrà considerato un debole; qualora però non permettesse alla senatrice di New York di uscire di scena con dignità potrebbe alienarsi le simpatie di quei milioni di donne che hanno votato per lei e che saranno decisive il 4 novembre contro McCain. Questo disagio è emerso in modo evidente nella vicenda del discorso di Obama in Iowa, programmato per celebrare la vittoria in Oregon e la conquista della maggioranza dei delegati.
Nei giorni precedenti al voto, lo staff del senatore aveva fatto intendere che il discorso in Iowa (dove tutto era iniziato a gennaio, con la sorprendente vittoria ai danni di Hillary), avrebbe segnato de facto la conclusione delle primarie democratiche. La mossa però è stata accolta con fastidio dai sostenitori della ex First Lady, che l’hanno considerato uno “schiaffo in faccia” all’elettorato (specie femminile) che ancora crede in una vittoria della Clinton. Il gruppo pro-Hillary WomenCountPAC ha perfino comprato una pagina del New York Times per pubblicare un chiaro monito ad Obama: “Not So Fast”, “Non così presto”. A rincarare la dose c’ha pensato la stessa senatrice che, in un’intervista al Washington Post, si è detta amareggiata per il livello di sessismo presente nella campagna elettorale.
Obama, che intanto in un comizio a Portland aveva radunato la cifra record di 75 mila persone, è stato quindi costretto a fare marcia indietro. Nel suo atteso intervento in Iowa ha vestito i panni dell’equilibrista. Non ha proclamato la vittoria finale, ma si è limitato a far notare che ora la maggioranza dei delegati è definitivamente con lui. Obama sa che per battere il candidato repubblicano deve assolutamente tenere uniti i Democratici. Lo sa talmente bene che si è spinto ad elogiare a cuore aperto la sua avversaria. “Nei suoi 35 anni di vita pubblica”, ha affermato, “la senatrice Hillary Rodham Clinton non ha mai ceduto nella sua lotta per il popolo americano”. Poi, ha pigiato sul tasto della retorica: “La senatrice Clinton ha infranto miti e barriere, cambiando l’America in cui cresceranno le mie e le vostre figlie”.
Tormentone-Hillary a parte, anche l’ultima tappa delle primarie ha confermato i punti forti e i talloni d’Achille della campagna elettorale del senatore afro-americano. Obama si aggiudica il voto di neri, giovani, intellettuali e impiegati nella new economy. Non sfonda invece (e Hillary lo ripete ossessivamente) tra i bianchi, i “blue collars” (la classe operaia) e gli anziani. Intanto, dopo Time, anche la rivista liberal The New Republic ha già emesso il certificato di morte della campagna presidenziale di Hillary. Il titolo dell’articolo a firma John B. Judis è tutto un programma: “The Autopsy Report”.