Obama chiuderà Guantanamo ma ci vorrà almeno un anno
14 Gennaio 2009
Di fronte alla crisi economica che attanaglia l’America, la questione della tortura e delle detenzioni illegali a Guantanamo sembrerebbe una nota a pie’ pagina nel programma della nuova amministrazione Obama. Non lo è. Invocando la giurisdizione universale, il Center for Constitutional Rights ha chiesto formalmente al governo francese e tedesco di incriminare l’ex-ministro della Difesa Donald Rumsfeld per crimini di guerra.
L’avvocato inglese Philippe Sands, che ha giocato un ruolo anche nell’estradizione di Pinochet dalla Gran Bretagna, ha appena pubblicato in un libro i suoi capi d’accusa contro l’amministrazione Bush. Fantapolitica? Forse. Come minimo, c’è grande attesa in gran parte dell’elettorato di Obama per una chiusura netta con le politiche anti-libertarie e in violazione della legge internazionale del presidente George Bush. Una commissione di inchiesta sarebbe la soluzione migliore a queste sfide.
Lo sanno gli stessi leader uscenti che, nel fare il bilancio del proprio lavoro, hanno presentato i mezzi straordinari usati contro sospetti terroristi come la chiave della vittoria ottenuta nella “Guerra contro il terrore”. Sperano di non finire incriminati da qualche giudice nominato appositamente da Obama, anche perché Bush non ha alcuna intenzione di concedere il perdono ai suoi uomini, una sorta di indulto preventivo, prima di lasciare
Secondo l’amministrazione, di tortura non si parla neanche. Intervistato domenica scorsa da "Fox News", il presidente uscente ha spiegato che "tecniche speciali di interrogatorio" sono state usate "di tanto in tanto per porre domande ad assassini ben noti per venire a conoscenza delle intenzioni di Al Qaeda". Ha aggiunto "Io rifiuto la parola tortura" spiegando che tutto quello che è stato fatto, consultandosi con dei "professionisti", aveva "una base legale". Perdonare gli esecutori dei suoi ordini sarebbe un’ammissione di colpevolezza.
"Tecniche speciali di interrogatorio" sono per esempio il waterboarding o simulazione di annegamento, e la privazione del sonno. Sono state usate dalla Cia in luoghi segreti e in paesi lontani. Altre misure coercitive come l’obbligo di stare in piedi per almeno 4 ore sono state usate più spesso nel centro di detenzione di Guantanamo, dove i "professionisti" dell’intelligence hanno avuto un ruolo minore e l’esercito ha agito in loro vece.
La legalità di questa tecnica fu definita dal memorandum di William Haynes, avvocato del Pentagono, e firmata dall’allora ministro della Difesa Donald Rumsfeld, che aggiunse in calce, accanto al suo nome, la domanda: "Sto in piedi da
Che il trattamento crudele, inumano e degradante dei prigionieri di Guerra sia ritenuto banalmente normale da Rumsfeld e Cheney non deve sorprendere. Alla fonte c’è la decisione del Presidente Bush, annunciata nel febbraio del 2002, di escludere i combattenti di Al Qaeda e i Taliban dalla protezione delle Convenzioni di Ginevra che, con l’Articolo 3, proibisce le "tecniche" approvate dall’amministrazione americana.
Nell’agosto dello stesso anno i giuristi del dipartimento di giustizia John Yoo e Jay Bybee produssero un memorandum su richiesta del ministro Alberto Gonzales. Con questo memo il presidente si arrogava "legalmente" il diritto di ordinare la tortura e di interpretare la convenzione internazionale sulla tortura in modo originale: poiché la convenzione non proibisce esplicitamente né la minaccia di morte quando non viene seguita da un’esecuzione, né la tortura che non provoca la perdita di un organo vitale, tutto il resto sarebbe permesso.
Dove si appoggia quindi la certezza di Bush di aver agito secondo la legge? Con un decreto, il Military Commissions Act, Bush ha garantito l’immunità retroattiva a tutti gli interrogatori. E il rapporto del Dicembre scorso della Commissione Senato sulle Forze Armate, firmato dallo stesso McCain e dal democratic Carl Levin, è arrivato a importanti conclusioni sulla responsabilità di Rumsfeld e altri nel cambiare la legge per legittimare la tortura, ma rimane in gran parte segreto per ragioni di sicurezza nazionale e non indica alcuna volontà di indiziarli.
Sulla possibilità di investigare e incriminare i responsabili delle torture, Obama è stato meno categorico. La priorità, secondo lui, è di guardare al futuro, non al passato. Ma prendersi carico di gravi responsabilità come la violazione della legge, interna e internazionale, è la ricetta migliore per costruire un futuro esente da errori passati. C’è già una seria guida su come stabilire una commissione d’inchiesta sulle detenzioni illegali e la tortura, prodotta dall’International Center for Transitional Justice lo scorso novembre.
L’adozione di una tale iniziativa non soddisferebbe solo l’elettorato progressista. Sarebbe uno scudo potente contro altre iniziative, fuori d’America, sull’incriminazione di Rumsfeld e del suo "team di torturatori", come lo chiama Sands. Infatti la giurisdizione universale si applica solo nei casi nei quali un paese non sia in grado di far funzionare la giustizia senza intervento esterno. Come risponderebbe a una tale sfida il presidente Obama?