Obama a Berlino sullo sfondo della storica Porta di Brandenburgo, davanti a migliaia di giovani fans adoranti … Obama a Parigi sulle scale dell’Eliseo, la Ville lumiere ai suoi piedi… Obama in Afghanistan, Iraq, Gerusalemme, a Londra, in aereo, in elicottero, in pullman. Obama che sorride, stringe mani come un nuovo messia e ammicca al mondo, al quale si rivolge (“people of the world”…!).
Obama e’ dappertutto, e’ omnipresente, quasi ce ne fossero a centinaia, di Barack Obama. Le televisioni americane, le radio, non cessano di parlare di lui, delle sue gesta, della sua vita, di sua moglie, delle sue abitudini, dei suoi amici, della sua corte, della sua potente macchina organizzativa e mediatica, delle trecento persone che ogni mattina, al levar del sole, gli spiattellano sulla posta elettronica (come fara’ a leggere tutto?) la situazione del mondo, dell’economia, l’andamento dei sondaggi, le tendenze degli elettori, che tempo fara’. Lo chiamano il mobilitatore, la speranza, il futuro, l’oratore dei tempi moderni, colui che sa.
Per i media, McCain in confronto e’ una pulce. Se ne devono occupare perche’ e’ li’, perche’ e’ il candidato repubblicano, perche’ e’ un eroe del Vietnam (mamma, cos’e’ il Vietnam?), perche’ e’ stato prigioniero, e ha pure sofferto. Lo seguono nelle sue piccole trasferte in minuscole citta’ dove visita supermercati microscopici e chiacchera con sparuti gruppi pensionati. Si vede lontano un miglio che ne farebbero volentieri a meno. Non e’ un personaggio che buca lo schermo come l’altro, ogni tanto sbaglia le date e si confonde. Non ha lo stesso sguardo che cattura l’attenzione, lo stesso “physique du role” dell’avversario, si veste meno bene. Non ha una moglie come Michelle, ha solo una moglie, tipicamente “wasp”: segaligna, tirata, miliardaria, annoiata e noiosa. Michelle, ecco lei e’ di un’altra pasta. Una vera pantera, grintosa, determinata, pronta a sostituire i camerieri neri della Casa Bianca con maggiordomi bianchi. Lei, come Obama, ci raccontano, si e’ fatta da sola. Ha lottato. Ha vinto, sta per vincere, e’ inevitabile. E’ scritto. McCain e’ come Bush, e chi mai vorrebbe altri quattro o addirittura otto anni di politica repubblicana, che ha sfasciato l’economia, ha fatto crollare ponti, ha mandato migliaia di soldati in prima linea, ha lasciato che il prezzo del petrolio schizzasse alle stelle, ha fatto sciogliere i ghiacci dell’artide e l’antartide, ha creato legioni di terroristi pronti a colpire di nuovo, ha distrutto la foresta amazzonica, ha fatto salire la temperatura del globo di due gradi, ha addirittura portato sfiga a numerose squadre di baseball, ha diviso l’Europa, e insomma quando piove e’ colpa sua?
Chi? Ebbene, molti milioni di americani. Piu’ di quanti raccontino le cronache di questi giorni. All’interno dello stesso campo di Obama i sorrisi sono tirati. Le ultime settimane avrebbero dovuto restituire un candidato dalle solide credenziali internazionali, con doti di leadership, pronto ad assumere il comando dal “day one”. Il viaggio in Medio Oriente e in Europa sembra aver funzionato dal punto di vista mediatico: l’assoluta preminenza del senatore dell’Illinois su televisioni e giornali ha fatto crescere leggermente il suo vantaggio a livello nazionale, ma ci sono già segnali di inversione di tendenza. L’entourage di Obama guarda poi con preoccupazione ai sondaggi Stato per Stato, che mostrano una situazione ben diversa, con McCain incollato al rivale – o in leggero vantaggio – soprattutto negli Stati dove si decidera’ l’elezione: Ohio, Michigan, Virginia, Minnesota, Colorado, Nevada. L’oscuramento non sembra penalizzare il veterano di tante battaglie anche politiche, la cui solidita’ sta nella lealta’ ai principi, nella venticinquennale presenza in Congresso, nella grande esperienza di affari internazionali, e nella sua capacita’ di attrarre il voto indipendente e moderato (25-30 per cento dell’elettorato non sono noccioline).
Dal punto di vista giornalistico, Obama trattato dall’Eliseo come un Capo di Stato e’ senza dubbio una storia accattivante. Ma a novembre non voteranno solo i giornalisti, e nemmeno le migliaia di ragazzini urlanti del Tiergarten. Voteranno milioni di americani alle prese con un’economia in difficolta’, con il prezzo della benzina alle stelle, con la prospettiva di perdere la casa e di non avere piu’ accesso al credito. Milioni di americani cui l’interesse principale non e’ se Obama potra’ rafforzare le relazioni transatlantiche oppure risolvere il conflitto in Medio Oriente.
In tempi di crisi, come quelli che si annunciano, il richiamo al cambiamento – si teme nel campo democratico – potrebbe essere interpretato come un appello a fare un rischioso salto nel vuoto. Il vero dilemma per lui sara’ quindi di scegliere se rimanere l’icona del cambiamento globale, oppure tornare ad affrontare le difficili sfide dell’anonimo cittadino comune.