Obama dà il benservito a Karzai e apre alla successione in Afghanistan

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Obama dà il benservito a Karzai e apre alla successione in Afghanistan

29 Gennaio 2009

Zalmay Khalilzad è stato l’ambasciatore degli Usa alle Nazioni Unite nell’ultima fase della presidenza Bush. In un discorso tenuto davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 14 ottobre scorso, ha fatto un bilancio preciso sulla guerra contro Al Qaeda e i Taliban proponendo alcune vie di fuga rispetto alla stasi attuale. Dopo aver ricordato che gli Usa sono il primo finanziatore della ricostruzione afgana, Khalilzad ha fatto appello alle altre nazioni perché aiutino il governo e la popolazione afghana a superare un inverno che dal punto di vista metereologico e da quello bellico è molto difficile.

Oggi, a tre mesi di distanza, Obama ripete esattamente le stesse cose dell’ambasciatore di Bush, chiedendo agli alleati della Coalizione di impegnarsi di più nel nation-building afgano. La situazione della sicurezza nel Paese quest’anno si è deteriorata. Dall’estate scorsa gli attacchi dei Taliban e dei miliziani qaedisti sono aumentati regolarmente e a farne le spese sono soprattutto le truppe afgane e la popolazione civile. Bisogna incrementare il training delle forze di sicurezza nazionali, rafforzare la polizia e le autorità locali, combattere la corruzione, favorire lo sviluppo economico e delle istituzioni, contenere il narco-traffico e far rispettare le leggi. Bella impresa.

Questo processo sembra essersi interrotto negli ultimi mesi del mandato di Karzai. Il presidente afgano si è messo a dialogare a distanza con il mullah Omar, mentre attaccava gli americani in modo velenoso usando come arma le vittime civili dell’aviazione Usa. Una strategia per guadagnare consenso tra la popolazione stanca della guerra e disposta a scendere a patti con i padroni di un tempo. Le prossime elezioni presidenziali sono state fissate per il prossimo 20 agosto. Per la seconda volta, la democrazia afgana sarà chiamata al voto dopo quello che nel 2004 portò Karzai – all’epoca presidente ad interim – a guadagnarsi la carica di capo dello stato. Le elezioni si svolgeranno con qualche mese di ritardo sia per le questioni legate alla sicurezza ma anche per problemi tecnici e di budget.

Con il passare del tempo Karzai si è indebolito ma intende ricandidarsi per un nuovo mandato. Se per risalire la china vuole compromettersi con i Taliban – che intanto hanno chiuso a qualsiasi dialogo elettorale – allora bisognerà guardarsi intorno per capire chi potrebbe essere il suo successore.

Facciamo qualche nome. Ramazan Bashardost è il candidato che si sta muovendo di più negli ultimi tempi. Si è formato tra Iran, Pakistan e Francia e per un po’ di tempo è stato il ministro della Pianificazione afgana. Ma la sua battaglia contro il proliferare delle ONG (ne ha fatte chiudere un bel po’) ha finito per alienargli le simpatie di Karzai e dei maggiorenti del governo afgano tanto da costringerlo alle dimissioni. Oggi è un parlamentare indipendente e un attivista politico sul fronte dei diritti umani. Nel libro Basic Political, Military and Diplomatic Laws of Afghanistan, ha ricostruito la storia legislativa del suo Paese dal 1225 a oggi, guadagnandosi un premio alla Accademia di Scienze Politiche francese. Bashardost sta portando avanti una campagna dai toni populisti contro i superconsulenti del governo afgano, pagati fino a 30.000 dollari al mese, a fronte degli stipendi da fame degli impiegati, dei poliziotti o degli insegnanti locali, questi ultimi pagati circa 60 dollari al mese. "Se arrivassi al potere – ha detto – avremmo un governo pulito, uno stato pulito, un buon governo… Sono assolutamente certo che il 90 per cento dei Talebani rifiuterebbe di continuare la guerra".

Ashraf Ghani è un intellettuale afgano-americano che è stato ministro delle finanze durante la amministrazione ad interim di Karzai tra il 2002 e il 2004. Ha ricoperto incarichi di prestigio alle Nazioni Unite e alla Banca mondiale partecipando alla stesura degli Accordi di Bonn. Nel 2003 fu scelto come il miglior ministro delle finanze tra i Paesi emergenti in Asia. Il suo obiettivo è tutto economico: mobilitare risorse e attrarre investimenti finanziari della comunità internazionale per far avanzare il processo di costruzione nazionale afgano. Il suo libro The Framework: Fixing Failed States, pubblicato l’anno scorso dalla Oxford University Press, contiene una serie di progetti di riforma della devastata economia afgana; il suo "National Solidarity Program" è invece un modo di coinvolgere i villaggi più poveri nella ricostruzione nazionale, affidandosi a dei Consigli locali in grado di determinare le priorità e i meccanismi in grado di far ripartire l’economia. "Il mio paese – ha detto – è dominato dalla mafia e dal narcotraffico". 

Ali Ahmad Jalali insegna alla National Defense University di Washington. E’ stato ministro degli interni in Afghanistan dal 2003 al 2005 prima di andare a vivere in America. Esperto di media e con un passato nella resistenza afgana contro il Comunismo, ha criticato di sovente il ruolo degli Usa nel Paese. Nella sua visione, la Guerra al Terrore ha finito per rafforzare il potere dei Signori della Guerra incoraggiandoli a minare il potere centrale.

Tornando a Khalilzad, è stato uno degli uomini di Reagan nella seconda metà degli anni Ottanta, occupandosi della guerra sovietica in Aghanistan e  promuovendo i meriti della resistenza dei Mujahideen contro le truppe di occupazione di Mosca. Ha servito sotto Bush Padre all’inizio degli anni Novanta e poi sotto George W. Bush come consigliere del Segretario della Difesa Rumsfeld. E’ uno dei membri fondatori del Project for the New American Century e già dal 1998 chiedeva al presidente Clinton di  "rimuovere Saddam Hussein e il suo regime dal potere" usando tutte le forze disponibili, economiche, politiche, diplomatiche e naturalmente militari. Dopo l’11/9, il presidente Bush lo ha voluto accanto a sé come esperto della situazione afgana. Ha partecipato alla definizione dei piani per rovesciare il regime talebano e dal 2003 è stato nominato amabasciatore degli Usa a Kabul. L’anno dopo ha dato una mano a organizzare le prime elezioni democratiche nel Paese. Nel 2007, con un voto unanime confermato dal Congresso a guida democratica,  Khalilzad è diventato l’abasciatore degli Usa alle Nazioni Unite, inaugurando uno stile più conciliante del suo predecessore Bolton. 

L’agenda di Khalilzad sull’Afghanistan piace perché è chiara: “Nessun santuario per le forze nemiche; nessun uso dell’estremismo e del terrorismo per favorire gli interessi nazionali afgani; una maggiore condivisione delle informazioni d’intelligence". Più in generale, un’azione tesa a precludere le rivalità regionali, incoraggiando la riconciliazione nazionale e integrando l’Afghanistan nelle istituzioni e nell’economia della regione. I progressi su questi fronti sono cruciali per lo sviluppo e la stabilità del Paese. Per tutto questo vota Khalilzad for president.