Obama e McCain alla prova della guerra (in Georgia)

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Obama e McCain alla prova della guerra (in Georgia)

14 Agosto 2008

Chi vorreste alla Casa Bianca se scoppiasse una crisi internazionale? Questa domanda ipotetica che i sondaggisti pongono agli elettori americani in occasione delle presidenziali ha assunto, in questi giorni, un significato concreto. Il conflitto che ha infiammato il Caucaso è infatti entrato prepotentemente nel confronto tra John McCain e Barack Obama. Il senatore dell’Arizona, sin dall’inizio della crisi, ha criticato duramente la Russia, accusando Mosca di essere responsabile dell’escalation. Più equilibrata la posizione del senatore dell’Illinois che, in un primo momento, ha chiesto a Mosca e Tbilisi di evitare lo scontro armato. Affermazione, quest’ultima, praticamente speculare a quella iniziale di George W. Bush.

Quando, però, le forze armate ex sovietiche hanno bombardato Tbilisi e sconfinato nel territorio georgiano, tanto Bush (vedi dichiarazione di ieri alla Casa Bianca) quanto Obama hanno irrigidito la propria posizione, allineandosi sostanzialmente alle dichiarazioni di McCain. Di qui la sensazione diffusa che il candidato repubblicano abbia acquistato dei punti a suo favore da questa vicenda. Concorda anche un sondaggista democratico come Jay Campbell, intervistato dal “The Wall Street Journal”, il quale ritiene che McCain abbia rafforzato l’idea di essere più preparato del suo avversario sui temi della sicurezza e della politica estera. D’altronde, un sondaggio dello stesso quotidiano finanziario – commissionato assieme alla NBC e realizzato a fine luglio – rimarcava il “commanding gap” tra Obama e McCain. Per il 53 per cento degli intervistati, McCain è adatto al ruolo di Commander-in-chief (comandante in capo delle forze armate, incarico tra i più delicati attribuiti al presidente). Obama si ferma invece al 28 per cento, praticamente la metà dei consensi ottenuti dall’ex veterano del Vietnam. Jay Campbell è comunque convinto che il conflitto in Georgia non sposterà voti il prossimo 4 novembre. Gli americani, nota il consigliere democratico, pensano innanzitutto ai problemi interni. Nelle urne, peserà il costo della benzina piuttosto che le sorti della Georgia. 

Tuttavia, la vicenda ha riportato in primo piano la politica estera in una campagna elettorale dominata dall’economia. Lo staff di McCain ha sottolineato che il senatore dell’Arizona aveva visto giusto fin dall’inizio, mentre le prime “debole dichiarazioni” di Obama “non hanno distinto tra l’aggressore e la vittima”. Una critica a cui ha risposto il consigliere di politica estera di Obama, Michael McFaul, secondo cui all’inizio della crisi non era possibile attribuire tutte le colpe al Cremlino. Ma quali saranno dunque i rapporti tra Washington e Mosca, una volta uscito di scena Bush? Obama ha ribadito che gli Stati Uniti vogliono collaborare con il Cremlino e mantenere l’amicizia con il popolo russo. “Vogliamo – ha detto, interrompendo le sue vacanze alle Hawaii – che la Russia giochi un ruolo di grande nazione. Ma questo ruolo va accompagnato dalla responsabilità di agire come una forza di progresso nel nuovo secolo. Non come agente di regressione verso conflitti che appartengono al passato”.

 

 

Decisamente più muscolare l’atteggiamento dell’ex pilota della US Navy. Il senatore del GOP ha affermato che Medvedev e Putin devono “rendersi conto delle gravi e durature conseguenze a cui porteranno le loro azioni in Georgia”. McCain, molto apprezzato dai neoconservatori, non è mai stato tenero con l’ex nemico della Guerra Fredda. Anzi, è arrivato a chiedere l’esclusione della Russia dal G8. Una proposta bollata come inutile provocazione. Fino ad una settimana fa. In questi giorni, peraltro, i media americani ricordano come McCain prese in giro un giudizio di Bush su Putin. Il presidente americano, come è noto, aveva dichiarato, tempo fa, che guardando il presidente russo negli occhi aveva colto la bontà del suo carattere. Pungente la battuta di McCain: “Quando ho guardato Putin negli occhi, ho visto tre lettere: KGB”.