Obama è un giovane Amleto che non sa come vincere in Afghanistan

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Obama è un giovane Amleto che non sa come vincere in Afghanistan

12 Ottobre 2009

Una delle grandezza della democrazia è la rotazione del potere, la quale obbliga per definizione l’opposizione a essere seria e responsabile (ad esempio con riguardo a questioni come la guerra.) Su questo tema in particolare, i Democratici, ormai dal 20 Gennaio scorso, hanno dimostrato di essere decisamente poco seri. Quando la guerra in Iraq (che una maggioranza di senatori Democratici ha votato) si è trasformata in un tribolo sempre più vischioso, e gli incidenti sul campo hanno cominciato a aumentare, i Democratici hanno deciso di seguire i volubili venti dell’opinione pubblica, tornando a essere contrari a quella guerra. Ma avendo bisogno di una copertura politica capace di metterli al riparo dalla cattiva reputazione post-Vietnam che ogni volta li scaraventa in una posizione di debolezza su temi quali la difesa nazionale, i Democratici hanno fatto della guerra in Afganistan la propria guerra preferita.

“Facevo parte dello staff di Kerry nel 2004, il quale ha elevato l’Afganistan a ‘guerra giusta’ nel savio lessico del partito Democratico,” ha ricordato il consulente del partito Democratico Bob Shrum, poco dopo l’elezione del President Obama. “Poteva sembrare una mossa vincente come strumento di critica nei confronti dell’amministrazione Bush, ma  quella posizione ha assunto una certa auto-referenzialità e,  a distanza di tempo, una dimensione fuorviante.” Si tratta di un modo intelligente per dire che promuovere la vittoria in Afganistan è stata una forzatura poco ingegnosa nella quale i Democratici non hanno mai veramente creduto, una facile clava da dare in testa a Bush, tanto bastava per apparire sufficientemente bellicosi e poter così respingere lo stereotipo della  debolezza sui dossier di difesa nazionale. Brillantemente confezionato e perfettamente cinico, lo slogan “la guerra irachena male, la guerra afgana bene” ha funzionato. I Democratici hanno prima conquistato il Congresso, poi la Casa Bianca. Ma ora, sfortunatamente, devono governare. Non si gioca più. Non si può più far finta.  Cosa pensa di fare oggi il commander in chief con una guerra che ha dichiarato di voler vincere e che in un recente passato è stata quasi criminalmente trascurata in termini di risorse da Bush? Magari mettere a disposizione le risorse per vincerla?

Niente di più ovvio, no? E in effetti si tratta esattamente di cio che il comandante scelto da Obama gli ha personalmente chiesto, lo scorso 30 Agosto: un aumento di truppe, oscillante tra le trentamila e le quarantamila unità suppletive e teso all’interruzione della spirale di violenza sul teatro afgano, nello stesso modo in cui l’Iraq è stato salvato con il ben noto surge (ndt. aumento di truppe.)  Ora, tutto questo si consumava più di cinque settimane or sono. Per quel che ne sappiamo, nessuna risposta a riguardo è stata data. Obama agonizza pubblicamente mentre il mondo lo sta a guardare. Perché? Presto detto: come ricorda James Jones, consigliere alla sicurezza nazionale di Obama, non si impegnano nuove truppe senza aver prima ridefinito una strategia. Niente strategia? Il 27 Marzo, affiancato dai ministri della difesa e degli affari esteri, il presidente affermava: “Oggi annuncio una nuova strategia per l’Afganistan e il Pakistan”, così tracciando le linee guida per una campagna civile-militare anti-insurrezionale col fine dichiarato di debellare i talebani in Afganistan. E tanto per rendersi più credibile, il presidente dichiarava fermamente di non essere giunto per caso a tale decisione. La nuova strategia, dichiarava in quella circostanza, “segna la conclusione di un’attenta riconsiderazione di tale politica.”

Se questa è stata la conclusione, immaginate voi il resto. Non il principio del ragionamento. Non una decisione inserita in un più ampio processo. Insomma la conclusione di un’estesa riconsiderazione, con questa formula il presidente ha preteso di rassicurare la nazione, con tanto di annunciate consultazioni periodiche  con i vertici militari e diplomatici, con i governi di Afganistan e Pakistan, con i nostri alleati NATO e con i membri del Congresso. L’allora Generale in carica fu sollevato dai propri incarichi e rimpiazzato con una scelta di Obama, Stanley McChrystal. Si tratta proprio dello stesso McChrystal che ha sottomesso al presidente il progetto di aumento di truppe per il contingente afgano, più quarantamila uomini, richiesta sulla quale il commander in chief  si è visto costretto a tacere. La Casa Bianca ha iniziato allora a lasciar trapelare una strategia alternativa, apparentemente proposta (inventata?) dal vice-presidente Biden, volta al raggiungimento di una vittoria immacolata con l’uso di missili a distanza cruise, droni Predator e operazioni speciali.

L’ironia della sorte ha voluto che nessuno possa vantare più esperienza in questo genere di pratiche belliche del Gen. McChrystal. Egli ha in prima persona gestito proprio questo tipo di “contro-terrorismo” in Iraq per circa cinque anni, uccidendo migliaia di cattivi in operazioni di successo under-the-radar (un’operazione è under-the-radar quando il suo vertice operativo è in luogo sicuro, sotto il radar appunto.) Quando i maggiori esperti di questo genere di attività di counterterrorism raccomandano precisamente una strategia opposta – una counterinsurgency appunto, intendendo con ciò, tra l’altro, un’occupazione massiccia del territorio e un aumento delle truppe poste a protezione della popolazione civile – si ha così a che fare con una convincente proposta di azione di contro-terrorismo promossa proprio dall’uomo che più di ogni altro ne conosce potenzialità e limiti. E su questo McChrystal è stato chiarissimo: andare a cercare soluzioni alterative al counterinsurgency vorrebbe dire perdere la guerra.

Ciò nonostante, il suo commander in chief, il giovane Amleto, si fa prendere dall’ansia, dall’agitazione e dall’angoscia. I suoi consiglieri domestici, guidati da Rahm Emanuel, gli dicono che se ricorrerà alla retorica della vittoria, il presidente diventerà un nuovo Lyndon B. Johnson, visionario domestico distrutto da una guerra fuori dai confini nazionali. Il suo vice-presidente, dal canto suo, gli propone la chimera del successo indolore del contro-terrorismo. Contro Emanuel e Biden stanno il Gen. Petraeus, principale esperto di counterinsurgency (ricordiamoci che con tale pratica Petreaus ha salvato l’Iraq), e Stanley McChrystal,  principale esperto mondiale di counterterrorism. Su quale raccomandazione, tra le due opposte, dovremmo fondare la decisione da prendere a riguardo? Più di due mesi fa, lo scorso 17 Agosto, di fronte a una platea di veterani, il presidente dichiarava che l’Afganistan è “una guerra necessaria.” Insomma c’è da chiedersi: c’è qualcosa nelle convinzioni di quest’uomo che rimane in vigore oltre il tempo di uno svanente applauso di una platea?

Tratto da Washington Post

Tradizione di Edoardo Ferrazzani