Obama esalta i “grandi progressi” con Mosca ma rinuncia allo Scudo spaziale

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Obama esalta i “grandi progressi” con Mosca ma rinuncia allo Scudo spaziale

06 Luglio 2009

Un presidente americano arriva oggi a Mosca, per negoziare un trattato sul controllo degli armamenti. Si accorda bene a un tema tanto demodé il fatto che migliaia di soldati russi siano impegnati nel Caucaso in quella che è la più grande esercitazione militare dalla fine della Guerra Fredda, gettando un’ombra minacciosa sulla piccola, indipendente Georgia.

La due giorni di Obama a Mosca dovrebbe promuovere – per usare le parole di un consigliere del presidente – “relazioni più efficaci con la Russia”; la sostanza del confronto risiederà nelle decisioni circa le ambizioni atomiche dell’Iran, la guerra in Afghanistan e un sostituto dello Strategic Arms Reduction Treaty (START), prossimo alla scadenza. Insomma, i classici argomenti di confronto tra superpotenze. Il fatto è che la Russia a fatica appare super, o incline a promuovere una partnership, a meno che non sia alle sue condizioni.

Per parte sua, il Leader Supremo Vladimir Putin vuole regolare vecchi conti una volta per tutte, e stabilire quella che lui chiama “una zona di interesse privilegiato”. Sicuramente apprezza la volontà da parte di Obama di spostare il fulcro dei colloqui dalla bellicosità russa alle armi nucleari, argomento questo che ridesta lo status di superpotenza della Russia. Ma come tutto ciò serva all’America, non è chiaro.

Come nella settimana precedente l’invasione della Georgia lo scorso agosto, la tensione è tornata alta. Almeno 8.500 soldati sono impegnati nelle manovre in corso nell’Abkhazia e nell’Ossezia meridionale, regioni georgiane secessioniste riconosciute come stati indipendenti soltanto da Russia e Nicaragua. Lo scorso mese, Mosca ha posto il veto al rinnovo della missione degli osservatori Onu e Ue in quelle regioni, che vi operavano sin dai primi anni Novanta. Il presidente Mikhail Saakashvili, un giovane avvocato laureatosi alla Columbia che ha portato la Georgia verso Occidente, resta un fattore irritante per i russi. Un regime favorevole al Cremlino in Georgia darebbe a Mosca il controllo delle rotte energetiche attraverso il Caucaso e influenzerebbe l’Azerbaijan e l’Armenia, il cui atteggiamento è stato finora improntato a una schietta indipendenza.

Mentre la Russia non ha mantenuto i suoi impegni rispetto alla tregua, gli Stati Uniti e i suoi alleati stanno agendo come se quella guerra non ci fosse mai stata. Nell’imminente summit, Obama annuncerà il ripristino delle relazioni militari russo-americane, sospese dall’amministrazione Bush. Tornerà operativo anche il consiglio Nato-Russia. Nel frattempo, Obama ha bloccato il dispiegamento in Polonia e Repubblica ceca di installazioni legate al progetto di difesa antimissile. In una lettera indirizzata all’inizio dell’anno al “front-man” del Cremlino, Dimitri Medvedev, Obama ha ventilato l’idea di mettere da parte quel progetto qualora la Russia spingesse l’Iran ad abbandonare le ambizioni nucleari.

I funzionari Usa affermano di aver sviscerato tutte le ambiguità relative alla difesa antimissile e al futuro di Georgia e Ucraina. Nondimeno, i funzionari russi continuano ad essere anche troppo felici di prendere in considerazione grandi guadagni. Tutto inizia con l’America che abbandona ogni progetto di espandere la Nato. In interviste precedenti il summit, Obama è passato sopra argomenti scabrosi quali i diritti umani e i piani del Cremlino riguardo i suoi vicini. “La cosa principale che voglio comunicare ai capi russi e al popolo russo è il rispetto dell’America verso la Russia” ha detto ai media locali, osservando poi che quella nazione “resta una delle più potenti al mondo”. Qualcuno per fortuna ha trattenuto il presidente americano dall’andare troppo oltre nello stuzzicare eccessivamente il fragile ego dell’orso russo. E’ stata una strada percorsa anche da Bill Clinton e George W. Bush, con risultati deludenti.

Ecco allora un’idea. Si mettano da parte i facili giochi psicologici sull’orgoglio nazionale e si torni ai principi e interessi primari dell’America. Questo summit si basa su una finzione: che la Russia sia una potenza pari agli Stati Uniti e che possa offrire qualcosa di concreto in cambio dell’indulgenza americana. Qualche russo va oltre queste pose: “Siamo franchi – ha scritto la scorsa settimana sulla Nezavisimaya Gazeta il cremlinologo Gleb Pavlovsky – oggi non c’è una sola questione sulla quale gli Stati Uniti dipendano dalla Russia. La decisione di permettere agli americani il passaggio aereo per rifornire le loro truppe in Afghanistan è un gesto di buona volontà, ma è stato concesso solo dopo che la Russia non è riuscita a fermare i rifornimenti via Kyrgyzistan”.

Da quando il comunismo è crollato, il principale interesse americano in Europa e in Eurasia è stato di estendere prosperità e libertà. In breve, di offrire a nazioni un tempo assoggettate di unirsi all’Occidente. Ciò può essere ottenuto, almeno in parte, unendosi alla Nato, la Ue o il Wto. “L’Occidente” è un’idea al pari di un luogo, è un’associazione libera e volontaria. I vari presidenti Usa, se il momento lo richiedeva, hanno sempre difeso il diritto di compiere questa scelta liberamente, ignorando i latrati russi.

La scelta di unirsi al mondo libero, naturalmente, è aperta anche alla Russia. Putin è l’uomo che ha escluso una tale opzione – l’ultimo episodio, quando si è messo di traverso all’adesione della Russia al Wto. Nel decennio di Putin, nazionalismo, corruzione e anacronismo sono fioriti, mentre il suo Paese ha perso un’altra occasione per progredire. Ma non è colpa dell’America.

Ogni amministrazione Usa avrà tante cose di cui discutere con la Russia. Ma un presidente americano a Mosca deve tenere lo sguardo fisso sul primo premio: il diffondersi della libertà, e non un nuovo START.

Tratto da Wall Street Journal

Traduzione di Enrico De Simone