Obama giura che BP pagherà ma sempre meno americani lo ascoltano

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Obama giura che BP pagherà ma sempre meno americani lo ascoltano

17 Giugno 2010

Solo 32 milioni di americani hanno ascoltato il discorso televisivo di Obama sul disastro ecologico nel Golfo del Messico, il 33 per cento in meno rispetto a quelli che ascoltarono il discorso dell’Unione, pochi rispetto al Superbowl, che ha fatto 106 milioni di spettatori. Alla fine, BP ha acconsentito a versare 20 miliardi di dollari in un fondo che, secondo Obama, potrebbe rivelarsi anche più costoso. BP paghera fino all’ultimo centesimo, questa la promessa, e deve turare al più presto la falla.

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è sceso in campo per la sua “guerra” nel Golfo, indicando al Paese la mission che aprirà le porte al futuro della nazione: l’utilizzo delle energie pulite. Lo ha fatto in un discorso solenne trasmesso in tv nel prime time, per la prima volta dal suo insediamento, dall’Oval Office. Ancora una volta Obama è tornato su uno dei punti chiave della sua politica, l’ambiente, usando stavolta toni solenni e decisi, proprio alla luce del disastro ecologico causato dalla Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, che da quasi 60 giorni sta imbrattando di petrolio le coste americane.

Il presidente ha definito “un’epidemia” il flusso di petrolio che continua testardamente a zampillare dal fondale marino, le cui conseguenze si sentiranno per “mesi, anni”. Di qui l’appello alla nazione a sostenere una rivoluzione legislativa – paragonata da Obama per importanza ai piani di soccorso per la seconda Guerra Mondiale e alla missione sulla luna – che cambi il modo in cui il Paese consuma e genera energia, perché la continua espansione della marea nera è “il più doloroso e potente promemoria che il tempo per scegliere l’energia pulita è adesso”.

“Sarà una transizione costosa”, ha spiegato durante i diciotto minuti del discorso, “e qualcuno pensa che non potremo permettercelo. Io credo che non possiamo permetterci di non cambiare il modo in cui produciamo energia, perché il peso di lungo termine sull’economia, sulla sicurezza nazionale e sull’ambiente sono molto maggiori”. “Per decenni abbiamo saputo che i giorni del petrolio facile e a basso costo erano contati – ha insistito – e per decenni non siamo riusciti ad intervenire con il senso di urgenza necessario: non possiamo consegnare ai nostri figli questo fardello”.

Poco prima del discorso del presidente – quando erano riprese dopo cinque ore di interruzione le operazioni di pompaggio, a causa di un incendio provocato da un fulmine su uno dei battelli – gli scienziati federali hanno reso noto che le stime del geyser di greggio che fuoriesce dai fondali del Golfo del Messico sono molto più alte di quanto annunciato la scorsa settimana: si tratterebbe di ben 60mila barili di greggio al giorno. “Noi americani – ha ricordato Obama – consumiamo il 20% del petrolio mondiale ma possediamo appena il 2% delle riserve mondiali”. Ed è per questo che le compagnie petrolifere sono spinte a cercare il petrolio anche a 1500 metri di profondità sotto il mare, con tutti i rischi che ne derivano e le terribili conseguenze. Di qui la promessa che la sua amministrazione farà pagare alla British Petroleum – con cui ieri il presidente ha avuto un’importante riunione – “tutti i danni che ha provocato” e la conferma che imporrà alla società petrolifera di costituire un fondo di garanzia di 20 miliardi di dollari su un conto bloccato per i risarcimenti alle vittime del disastro ambientale. Il presidente Usa ha poi nominato anche uno zar della ricostruzione nel Golfo, l’ex governatore del Mississippi Ray Mabus che si occuperà di supervisionare il Golf Coast Restoration Plan (finanziato appunto dalla Bp).

Obama ha, insomma, affrontato la “questione nera” di petto e non ha mancato, qualche giorno fa, in un’intervista a The Politico, di azzardare un parallelismo con la tragedia dell’11 settembre che ha scatenato la protesta dei parenti delle vittime degli attentati del 2001. Per alcuni osservatori il paragone con l’atto terroristico punta a cancellare quello con Katrina perché, mentre la risposta all’attacco di Al Qaeda assume un’accezione positiva nel political language americano, ri-sottolineare gli errori compiuti da George W. Bush dopo l’uragano che nel 2005 si abbatté su New Orleans significa invece evocare la catastrofe delle catastrofi. Del resto, l’invito rivolto da Obama agli americani di “andare al mare sulle spiagge non colpite” richiama inesorabilmente l’appello di Bush che, dopo gli attacchi, aveva chiesto ai connazionali di “continuare a vivere le propria vita senza cedere al terrore”. Ma ci chiediamo se, in fondo, Obama non abbia fatto altro che riaprire una ferita mai del tutto rimarginata per gli americani. E poi, volendo completare l’equazione, se l’11 settembre sta a Bin Laden, Bp a cosa starebbe?

La cravatta di un celeste rassicurante, lo Studio Ovale tempestato di foto di famiglia e il tono deciso sfoggiato 48 ore fa basteranno a far ritornare sui loro passi quei 7 cittadini su 10 che rimproverano all’ “uomo del cambiamento” eccessi di cautela con Bp e quel 52% degli intervistati che bocciano senza pietà il suo operato – nonostante con i suoi numerosi sopralluoghi abbia rinsaldato l’idea che lo Stato debba intervenire pesentamente nella società e nella vita degli americani?