Obama: “Gli Usa fuori dalla crisi”. Ma ci sono nuove bolle pronte a scoppiare

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Obama: “Gli Usa fuori dalla crisi”. Ma ci sono nuove bolle pronte a scoppiare

29 Maggio 2009

 

Secondo il presidente Usa Barack Obama, l’economia americana è «uscita dal baratro». Davanti ad una platea composta da star e starlette hollywoodiane, Obama ha spiegato che il peggio è passato, la paura per la Grande Recessione è infondata e che ci sono tutti i segnali della ripresa. Ed in effetti, qualcosa di positivo si è visto negli ultimi dati, ma come si possono ignorare le altre bolle pronte a scoppiare?

Secondo Obama gli Usa stanno vivendo «una calma che non esisteva prima» e ha ricordato che «Sono fiducioso nel futuro, ma non sono ancora soddisfatto». Analizzando le cifre degli ordinativi di beni durevoli, emerge che in aprile sono aumentati dell’1,9 per cento a quota 161,45 miliardi di dollari, assai oltre le previsioni degli analisti, i quali stimavano una crescita pari a mezzo punto percentuale. Fenomeno contrario per gli ordini su base annua: aprile sono risultati in aprile inferiori del 27,3 per cento, confermando il forte deterioramento della domanda che ha flagellato tutto il 2008. Il governo statunitense ha poi rivisto al ribasso il dato di marzo, il quale conteggia una contrazione del 2,1 per cento, al posto dello 0,8 per cento dell’ultima stima. Secondo i dati del dipartimento del Commercio, in aprile gli ordini di beni durevoli per il settore dei trasporti sono aumentati del 5,4 per cento, mentre gli ordinativi di aerei commerciali sono scesi del 6,8 per cento.

Per Obama le notizie positive arrivano anche su settore occupazionale. Dopo il periodo nero dei sussidi di disoccupazione, finalmente calano le richieste. Le cifre del Dipartimento del Lavoro parlano chiaro: meno 13 mila unità rispetto alla settimana precedente. Le richieste totali restano in ogni caso elevate, 623 mila unità. Il dato è però positivo, in quanto la stessa amministrazione Obama si attendeva un calo di circa 6 mila unità. Certamente questi sono dati prendere con le dovute cautele, però è positivo che qualcosa si stia muovendo.

Discorso analogo per quanto riguarda il mercato immobiliare, quello da cui è nata la bolla che ha causato la peggior crisi finanziaria degli ultimi 50 anni. In aprile le vendite di nuove abitazioni negli Stati Uniti è cresciuta dello 0,3 per cento, raggiungendo quota 352 mila unità. Una cifra positiva, ma inferiore alle aspettative del governo, che ipotizzavano un aumento fino a 365 mila abitazioni, capace di contrastare la contrazione verificatasi su base annua, meno 34 per cento. Continua anche il deprezzamento delle case, che perdono il 19,2 per cento del loro valore su base annua, arrivando ad una media di 254 mila dollari.

Ma c’è un fenomeno particolare che ha colpito gli Stati Uniti in maggio. L’indice di fiducia dei consumatori si è attestato a 54,9 punti (42 il consenso degli analisti), in rialzo rispetto i 39,2 punti di aprile. Lo ha confermato il Conference Board, il quale ha fatto notare che a maggio il sottoindice sulla situazione attuale è cresciuto a 28,9 punti dai 25,5 di aprile e quello sulle aspettative è passato dai 51 punti di aprile ai 72,3 punti di maggio. Lynn Franco, direttore del Conference Board Consumer Research Center, spiega che «dopo due mesi di miglioramenti significativi, l’indice di fiducia dei consumatori è ora ai massimi da otto mesi». Franco ha continuato, chiarendo i dati: «Il rialzo dell’indice sulla situazione corrente indica che le condizioni attuali sono migliorate moderatamente e la crescita nel secondo trimestre probabilmente sarà meno negativa che nel primo». Il direttore del centro studi ha poi concluso alla maniera di Obama, affermando che «Per quanto la fiducia sia ancora debole rispetto agli standard storici, il peggio sembra ora dietro di noi».

Ora, che ci siano ben quattro settori in qui qualcosa si muove positivamente, è pacifico. Ma è oltremodo lapalissiano che nell’economia americana siano intrinseche almeno quattro situazioni di rischio: il settore delle carte di credito, l’affare General Motors, l’accrescimento della massa monetaria e l’incremento del debito pubblico. Sul primo versante, non è ancora chiaro se, quando e come potrà scoppiare una bolla dovuta all’utilizzo smodato del credito al consumo. Nonostante l’intervento della Federal Reserve, a sostegno proprio di questo mercato negli ultimi sei mesi, il rischio di un crollo è ancora presente. Riguardo a GM, la questione è più sottile: Obama ha caldeggiato la soluzione Fiat per Chrysler, ma dietro alla società di Auburn Hills c’erano persone meno supponenti e più collaborative rispetto a Detroit. Questo elemento, unito al fatto che il Tesoro ha già foraggiato GM con quasi 20 miliardi di dollari, spingerà verso il fallimento del più grande costruttore automobilistico americano. Facile comprendere quale situazione si prospetterà per l’indotto di GM e per il Dipartimento del Lavoro, che sarà colpito dalle richieste per i sussidi di disoccupazione. Ma una delle criticità maggiori è quella della massa monetaria. Dopo quasi 20 mesi di iniezioni di liquidità sui mercati e tassi praticamente azzerati, qualcosa non va: l’inflazione dovrà scontare il comportamento di dollaro facile della Fed e del suo governatore, Ben Bernanke. Il vero problema è che non si sa quando accadrà ciò. Infine, il debito pubblico. Se è vero che Obama è raggiante per la ripresa, è altrettanto vero che non ha guardato i dati riguardanti la spesa pubblica americana. I moniti (anche se sembrano sassate) gli sono arrivati anche dagli economisti liberal come Paul Krugman, ma il presidente Usa va avanti per la sua strada.

Dopo il quantitative easing della Fed e dopo tutti i bailout che il governo statunitense ha fatto finora, festeggiare per alcuni dati in piccola crescita, appare fuori luogo, specie considerando la gravità della bolla che sta per scoppiare, quella dell’inflazione.