Obama ha come alleato il dollaro. Negli Usa non ci sarà il default
14 Luglio 2011
Jareed Lee Loughner, l’uomo che l’8 gennaio scorso fece una strage a Tucson, in Arizona, ferendo gravemente la deputata democratica al Congresso Gabrielle Giffords e uccidendo molte altre persone, era un "signoraggista". Credeva cioè che la vita degli americani (e del resto del mondo) sia controllata e diretta dalle banche ed in particolare dalla "banca delle banche", la Federal Reserve, la banca centrale americana, che tra le altre funzioni ha il potere di battere moneta e determinare la circolazione del dollaro.
Su Internet i naviganti si esaltano davanti a pellicole cospirazioniste come Zeitgeist: Addendum che descrive la Federal Reserve come il grande Leviatano colpevole di aver schiavizzato l’umanità attraverso il ricorso al frazionamento del debito; oppure s’indignano guardando film come Inside Job, in cui gli ultimi illustri presidenti della Fed, Greenspan e Bernanke, ne escono alla stregua di apprendisti stregoni colpevoli di aver tenuto nascosta la bufera che stava per spazzare via i mercati. Per non dire di Glenn Beck, il popolarissimo commentatore televisivo di Fox News, un vero beniamino del Tea Party, che si è scagliato più volte contro la spirale inflazionistica, la crescita del debito e del deficit, collegando questi fenomeni all’impennata della circolazione monetaria in America, iniziata alla fine degli anni Settanta e proseguita in modo esponenziale dopo il 2008, con il bailout (in questi giorni il Presidente Obama sta perdendo la pazienza perché Moody’s minaccia di togliere la Tripla A agli Usa).
E’ lecito criticare la Fed e la centralizzazione dell’economia ma bisogna anche ammettere che il dollaro è ancora la valuta più forte a livello globale: il Presidente chiama la Fed e le chiede di pompare più biglietti verdi nell’economia, la Fed ubbidisce, gli Usa non rischiano il default. Ci possono essere degli scontri tra Presidente e Congresso, democratici e repubblicani possono pensarla in modo diametralmente opposto sul taglio del budget federale o sull’imposizione fiscale (Obama ha chiesto nuove tasse ed ha proposto di alzare il tetto del debito pubblico), ma in fin dei conti il sistema tiene, nonostante i ciclici sconvolgimenti "tossici" del capitalismo.
Nel mondo non c’è ancora un’alternativa al dollaro. L’Europa ha creato l’euro ma la moneta unica dovrebbe salvare un continente profondamente diviso al suo interno, dalla sua storia fatta di rivalità millenarie e dai problemi economici che, a dire il vero, risalgono a prima del 2008; i parametri imposti da Bruxelles per la convergenza economica sono percepiti come una camicia di forza. Mettere d’accordo tanti Paesi, ognuno con il suo governo, il suo parlamento nazionale, le sue maggioranze e opposizioni, è impresa che richiede tempi molto più lunghi che in America e potrebbe, sul lungo periodo, diventare ardua (da qui l’idea di rifondare l’Europa con i suoi membri storici o la prassi, più consueta, dell’Unione a due velocità).
L’Europa è sempre più divisa tra l’area che traina l’euro dominata dalla Germania e la vasta periferia che comprende gli Stati falliti come la Grecia o l’Irlanda, i Paesi del Mediterraneo nel limbo come l’Italia e la Spagna, il blocco dell’Europa Orientale poco convinto di aderire all’eurozona visti gli impegni che comporta. Se i fallimenti si estendessero ad altre nazioni europee non è del tutto fantasioso pensare a un ritorno del marco tedesco e della Bundesbank, della dracma e dei turisti in Grecia. L’euro deve ancora mangiarne di polvere prima di candidarsi a successore del dollaro. (Se la Russia e la Cina continuassero a immagazzinare euro al posto di dollari sarebbe un passo avanti, sempre che si consideri un passo avanti la nostra dipendenza da Mosca o quella da Pechino).
Ci sarebbe, in effetti, anche il renminbi, la moneta del colosso cinese che regge il debito americano: negli ultimi i comunisti cinesi hanno fatto stampare banconote per qualche triliardo di dollari in modo da sostenere e incrementare la crescita interna, ma è opportuno ricordare che quella del grande paese asiatico è un’economia ancora fondata sulla produzione e non sul consumo, e che finché la situazione sarà questa il dollaro continuerà a farla da padrone sullo yuan. Con delle controindicazioni, naturalmente: a un certo punto la capacità della Fed di battere moneta potrebbe essere essere limitata, per esempio da una nuova legge varata dal Congresso spaventato dallo tsunami iperinflazionistico; oppure Bernanke potrebbe mettere un freno alle rotative per un senso di responsabilità.
Gli americani amano l’oro e va ricordato che di recente è stata proprio la Banca Mondiale a consigliere un nuovo Gold Standard. Il dollaro, secondo alcuni, potrebbe essere sostituito da un “paniere” che includa il biglietto verde, l’euro, il rublo, lo yuan e perché no anche l’oro stesso. Ma per adesso, queste sono soltanto ipotesi lontane.