Obama ha già iniziato la riabilitazione del presidente Bush

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Obama ha già iniziato la riabilitazione del presidente Bush

20 Gennaio 2009

A eccezione di Richard Nixon, nessun presidente da Harry Truman in avanti ha lasciato il suo incarico essendo così poco amato come nel caso di George W. Bush. La riabilitazione di Truman è durata decenni. Quella di Bush avrà bisogno di meno tempo. In realtà è già iniziata. Il responsabile della modifica ? Lo stesso Barack Obama.

La spiegazione si ottiene con i fatti, non con le parole: viene dalla tacita conferma espressa nella politica di continuità di Obama, quel “noi crediamo nella transizione”. Non si tratta solo dell’aver mantenuto in alcuni posti chiave figure come il segretario alla Difesa Bob Gates,  o la candidatura di Timothy Geithner come ministro del Tesoro, il quale, come presidente della Federal Reserve di New York, ha avuto un ruolo essenziale nel guidare il salvataggio finanziario voluto da Bush lo scorso anno. Si tratta della continuità della politica stessa. Quello che non indebolisce la nuova democrazia obamiana è stata sia la promessa ripetuta più volte del ritiro dall’Iraq, sia – come ha detto il vicepresidente eletto Joe Biden la scorsa settimana a Baghdad – l’adesione all’accordo sullo status delle forze armate negoziato da Bush, un patto che prevede il ritiro americano nell’arco di tre anni, e non nei sedici mesi su cui aveva puntato Obama in campagna elettorale.

Un altro elemento di continuità è la grande attenzione che Obama sta mettendo nel non abbandonare in modo preventivo l’infrastruttura contro il terrore che gli ha lasciato in eredità l’amministrazione Bush. Quando era ancora un candidato, Obama votò a favore del provvedimento sull’ampliamento dei poteri  presidenziali nell’ambito delle intercettazioni telefoniche che Bush aveva voluto ardentemente. E se da un lato Obama si oppone al waterboarding (che, tra l’altro, era già stato proibito dalla CIA di Bush nel 2006), dall’altro ha anche rifiutato l’invito di George Stephanopoulos (a “This Week”, il programma della ABC) di dichiarare fuori legge ogni interrogatorio non autorizzato dal Manuale Tecnico dell’Esercito. Obama ha spiegato che “il consiglio di Dick Cheney – venire a sapere tutto ciò che viene fatto – era buono”. Per la serie come gettare via una lista di metodi solo perché Obama ha fatto una campagna contro di loro.

Obama continua a non essere d’accordo con la visione di Cheney sull’accettabilità di alcune di queste tecniche. Ma citando il consiglio dato dal “più pericoloso vicepresidente che abbiamo mai avuto nella storia americana” (secondo Joe Biden) – un consiglio interpretato da Obama per cui “noi non dovremmo giudicare sulla base di informazioni incomplete o facendo una campagna di retorica” – il presidente ci ha dato il primo sorprendente segno della nuova e rispettosa considerazione verso l’eredità di Bush e Cheney. Tutto questo non deriva da un cambio di idee ma dalla semplice realtà. La bellezza di un sistema democratico dell’alternanza è tale solo quando l’opposizione si insedia, cioè proprio quando le critiche da quattro soldi e le calunnie finiscono. Adesso i democratici devono occuparsi dell’Iraq. Hanno da gestire anche la guerra contro al-Qaeda. E possiedono anche l’insieme delle misure contro il terrore con cui l’amministrazione di Bush ci ha mantenuti a salvo in questi ultimi sette anni.

Questa è la ragione per cui Obama sta coscientemente creando un abisso tra quello che ora definisce in modo sprezzante “fare campagna di retorica” e le scelte di politica che si troverà a compiere da presidente. Di conseguenza, Newsweek – devoto di Obama e flagello di tutto ciò che riguarda Bush e Cheney – alla vigilia della restaurazione democratica è miracolosamente riuscito a scoprire gli argomenti per legittimare le intercettazioni telefoniche senza autorizzazione, gli interrogatori ‘potenziati’ e gli arresti senza previo processo. Infatti, la strabiliante copertina della rivista dichiara: “Perché Obama potrebbe trovare presto delle virtù nella visione del potere di Cheney”.

Obama sarà quindi restio a buttar via gli strumenti che hanno salvato la patria. Proprio come sarà recalcitrante a mettere in pericolo il notevole capovolgimento della ‘fortuna’ americana in Iraq. Obama si oppose alla guerra. Ma la guerra è tutto tranne che finita. Quello che resta è un Iraq che, da essere una potenza ostile e aggressiva nel cuore del Medio Oriente, è diventato una democrazia emergente, apertamente alleata con gli Stati Uniti. Nessun presidente vorrebbe sentirsi responsabile di aver distrutto questo successo. In Iraq, Bush ha giustamente accettato le critiche per tutto ciò che è andato storto – il fiasco delle armi di distruzione di massa, Abu Ghraib, la caduta nel sanguinoso caos nel 2005-2006. Poi Bush va a Baghdad per ratificare il successo definitivo del “post-surge” di questa complicata campagna militare – la sottoscrizione di una partnership strategica tra gli Stati Uniti e l’Iraq – e finisce con lo schivare due scarpe taglia 44 come punizione dei suoi errori.

Per Bush assorbire quegli insulti è stato il suo ultimo lavoro in Iraq. Qualsiasi veleno generato dalla guerra si è concentrato su Bush. In realtà il presidente uscente ha fatto un favore al suo successore assumendosi le responsabilità sulle atrocità della guerra. Obama si sta insediando con un successo strategico tra le mani, mentre Bush esce di scena prendendosi una scarpata per il suo paese. Ho il sospetto che è proprio per questo motivo che, qualche settimana fa, Bush ha mostrato di essere così sereno durante un’intervista privata di addio nella Casa Bianca. Si lascia dietro la tempra della guerra, per cui è stato tanto calunniato ma che sarà utile al suo successore – e al paese intero – nei prossimi anni. Per i democratici la vera continuità delle politiche di Bush sarà una rancorosa, e silenziosa, forma di ammissione di tutto ciò che ha fatto di buono il presidente che se ne va.