Obama ha un modello per uscire dalla recessione: il Texas di Bush

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Obama ha un modello per uscire dalla recessione: il Texas di Bush

05 Agosto 2009

Sappiamo, perché lo ha detto nel primo dei suoi tanti e celebri discorsi, che Barack Obama non distingue tra un’America “Rossa” e “Blu” – ma guarda solo agli Stati Uniti d’America. Eppure, se il presidente provasse a valutare i sondaggi sempre più incerti, e che la spinta che ha dato alla riforma della sanità ormai è in stallo, potrebbe ritrovarsi a dover considerare le cose da una prospettiva più colorita.

Il contrasto fra stati “rossi” e “blu” è spesso un’esagerazione. Durante gli anni di Bush, i polemisti liberal trasformarono il Texas, lo stato da cui proveniva il presidente – pio, regolato senza troppi limiti, avaro nei servizi pubblici e che va matto per l’espansione urbana – nel simbolo di ogni barbarie della Repubblica americana. Nel frattempo la California, da sempre il laboratorio favorito dei liberal, faceva passare la sua legislazione sul riscaldamento globale, inondando di miliardi di dollari la ricerca sulle cellule staminali, e sembrava sulla strada di negoziare a modo suo anche una riforma universale della sanità.

Ma se andiamo avanti, parlando della crisi corrente, improvvisamente il Texas ci appare come uno stato modello. Il “Lone Star” (il soprannome del Texas, ndt) ha continuato a crescere anche dopo che il resto del Paese era caduto in recessione. Il suo tasso di disoccupazione e il tasso sui pignoramenti sono bel al di sotto della media nazionale. E’ uno dei soli 6 stati che non hanno dovuto gestire un deficit di bilancio nel 2009.

Nello stesso tempo, la California, a lungo paradiso per i regolatori e per i sindacati del settore pubblico, è diventata un’area disastrata dal punto di vista fiscale. E’ non è il solo caso disperato tra gli Stati “blu”. 8 stati hanno un tasso di disoccupazione sopra l’11 per cento; di questi, 7 avevano votato per Obama lo scorso novembre. 14 stati hanno previsto un gap del budget per il 2010 che eccede del 20 per cento il loro Pil; solo 2 di questi erano andati a John McCain (lo stato di McCain, l’Arizona, e quello di Sarah Palin, l’Alaska). Dei 9 stati che quest’anno hanno rialzato le tasse, e hanno fatto calare il deficit a prezzo di una contrazione della crescita, la maggioranza sono bastioni liberali.

Lo studioso di urbanistica Joel Kotkin ha definito questa recessione “un disastroso fallimento” dei blue-state. Questa affermazione rischia di esagerare le cose: il "profondo Sud" è stato colpito duramente dalla disoccupazione mentre alcune regioni liberal sono sopravvissute in un modo ragionevolmente accettabile alla tempesta. Ed è chiaro che parte della colpa della crisi corrente è da attribuire alle decisioni prese dalla amministrazione Bush a Washington.

Ma da una capitale dello stato all’altra, la svolta al ribasso ha illuminato la debolezza del governo democratico – il suo zelo per la spesa sociale insostenibile, la preferenza per le regole piuttosto che per la creazione di posti di lavoro, la grande fiducia nelle entrate fiscali derivate dal reddito volatile della “upper upper class”. E, inevitabilmente, la tendenza verso la corruzione politica. I repubblicani hanno i loro scheletri nell’armadio ma i democratici si trovano a dover fare i conti con una serie ben peggiore di scandali: l’imbarazzo per il caso Blahojevich-Burris in Illinois, i misteriosi intrallazzi sui mutui del senatore Christoper Dodd in Connecticut, l’allargarsi della concussione in New Jersey, e le indagini crescenti sui casi di corruzione che hanno coinvolto i democratici al Congresso.

Tutto questo ci spiega perché il Partito repubblicano potrebbe essere competitivo nel Nord-Est del Paese, per la prima volta da anni. Chris Christie sta guidando la corsa su Jon Corzine per il posto di governatore del New Jersey e lo sta facendo abbastanza facilmente. Rob Simmons potrebbe disarcionare Chris Dodd in Connecticut. Rudy Giuliani, che ha esperienza nella crisi degli stati “blu”, sta valutando la possibilità di correre a New York. E serve anche a spiegare le difficoltà attuali di Obama. Il presidente sta spingendo per una legge sui cambiamenti climatici sul modello californiano mentre gli uomini d’affari (e la gente) fuggono in massa dal “Golden State”. Sta spingendo per un piano sanitario che sembra somigliare sempre di più all’attuale sistema che ha provocato una emorragia di denaro in Massachusetts. Il suo deficit gonfiato somiglia a quello che sta paralizzando le capitali degli stati che vanno da Springfield a Sacramento.

“Non permetteremo che la crisi ci mandi in rovina”, disse lo scorso autunno Rahm Emanuel. Ma durante una crisi, la gente tende ad avere a cuore il proprio posto di lavoro e la crescita economica. Non è proprio il periodo ideale per far passare costose legislazioni sociali che promettono di ottenere dei dividendi solo sul lungo periodo, se mai avverrà. Ecco perché Franklin Roosevelt aspettò fino al 1935, quando cioè sembrava che la Grande Depressione stesse finalmente calando, per spingere la sua “Social Security” al Congresso. Ecco perché Lyndon Johnson creò il Medicare nel momento culminante del lungo periodo di espansione economica successivo alla fine della Seconda Guerra mondiale. Ed ecco perché la sanità del Massachusetts e il tetto alle emissioni di gas-serra imposto dalla California sono entrambe state votate al culmine di un boom piuttosto che nel suo punto più basso.

Obama gode ancora di un largo consenso popolare, e l’opinione pubblica s’identifica ancora ampiamente con l’agenda dell’amministrazione. Ma i soldi devono uscir fuori da qualche parte. Non si può pretendere di avere una nuova, audace epoca liberal senza la crescita per pagarla. Il presidente vuol governare l’America come se fosse uno “stato blu”, ma avrà bisogno che l’economia nazionale inizi a funzionare un po’ più come il Texas.          

Tratto da The New York Times

Traduzione di Roberto Santoro