Obama incontra il Dalai Lama con tutte le precauzioni possibili
19 Febbraio 2010
Nonostante gli avvertimenti di Pechino, che non apprezza che i capi di stato stranieri ricevano il Dalai Lama, Barack Obama ieri ha incontrato la guida spirituale tibetana, in visita negli Stati Uniti.
Il Presidente aveva aggirato questa evenienza nell’ottobre scorso, attirandosi le critiche dei difensori dei diritti umani. La decisione, giustificata ufficialmente dai troppi impegni, era dettata dalla necessità di non irritare i cinesi, alla vigilia della prima visita di Obama nella Repubblica popolare. Ma ieri l’incontro era inevitabile: dal 1991, anno della stretta di mano fra George H.W. Bush e il Dalai Lama, tutti i presidenti americani hanno ricevuto il leader buddista.
Rifiutando ancora una volta di farlo, Obama avrebbe mostrato la debolezza degli Stati Uniti di fronte alle pretese di Pechino. Per non rischiare troppo, ha preso tutte le precauzioni necessarie per spogliare l’evento di ogni carica simbolica e ideale: l’incontro è avvenuto nella sala delle mappe, e non nella sala ovale, tradizionalmente destinata alle visite dei rappresentanti di Stato e di governo. L’amministrazione americana ha tenuto a precisare che il Dalai Lama è stato ricevuto in quanto capo religioso, e non come leader politico.
E’ stato un colloquio a porte chiuse, lontano dagli occhi della stampa. In un comunicato rilasciato subito dopo i colloqui, la Casa Bianca si è limitata ad affermare di aver espresso il proprio “forte sostegno” alla causa dei diritti dell’uomo e all’identità culturale e religiosa “unica” del Tibet. Gli Stati Uniti “incoraggiano le due parti ad impegnarsi in un dialogo diretto per risolvere i contrasti esistenti tra la Cina e i dirigenti tibetani”. Il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs ha aggiunto che il presidente Obama e il Dalai Lama si sono trovati d’accordo sull’importanza di una relazione positiva tra Cina e Stati Uniti, basata sulla cooperazione.
Il Dalai Lama, considerato da Pechino un leader separatista, si è rivolto alle telecamere dicendo di sentirsi “molto felice” per l’incontro ed ha affermato che la sua visita è servita a diffondere “la pace, i valori umani e l’armonia religiosa”. Le visite del Dalai Lama sono sempre un momento delicato per un capo di Stato. Nel 2007 George W. Bush aveva provocato l’ira di Pechino mostrandosi sorridente al fianco del leader tibetano mentre gli consegnava la medaglia d’oro del Congresso. Questa volta la reazione potrebbe essere più virulenta, date le tensioni che hanno caratterizzato le relazioni sino-americane negli ultimi mesi: dallo scontro tra Google e la Repubblica popolare, alle critiche cinesi per la vendita di armi a Taiwan, fino alla divergenze sulle sanzioni all’Iran e la questione del riscaldamento climatico.
In un comunicato rilasciato il 3 febbraio dal Ministero degli esteri, la Cina si era fermamente opposta a qualsiasi incontro tra Obama e il leader tibetano, invitando Obama a valutare “l’estrema sensibilità” della questione e il rischio di un “nuovo deterioramento delle relazioni bilaterali”. La possibilità di una escalation diplomatica sul lungo periodo fra i due Paesi, però, appare piuttosto remota, considerando che il Dalai Lama è ormai avanti negli anni e che i suoi successori sono un paio di bambini guardati a vista da Pechino. L’interdipendenza economica tra le due potenze, poi, col tempo rimarginerà anche questa ferita. Il rischio è legato invece al breve e medio periodo, se Peachino deciderà di reagire alle provocazioni americane, mettendo il veto alle sanzioni in Consiglio di Sicurezza e boicottando il prossimo appuntamento post-Copenhagen.