Obama, la Russia e lo scudo: tutte le opzioni del Presidente
21 Marzo 2009
In un futuro sempre più vicino, il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sarà chiamato a prendere una decisione sul cosiddetto “terzo sito” di difesa missilistica, il progetto varato dall’Amministrazione Bush per una stazione radar nella Repubblica Ceca e una serie di dieci missili intercettori in Polonia, il cui scopo dichiarato è quello di difendere l’Europa da un eventuale attacco da parte di paesi mediorientali ostili come l’Iran.
La scelta è di per sé controversa. Seppur al momento appaia quasi impossibile abbandonare la realizzazione dello scudo, caldeggiata dai governi dei paesi ospitanti e già approvata dalla NATO il 14 giugno 2007, Obama potrebbe optare per un rinvio a data da destinarsi, correndo però il rischio di inimicarsi gran parte dei “falchi” della difesa a Washington, e rendendosi vulnerabile alle accuse di essere un commander in chief eccessivamente titubante in politica estera (accusa della quale ogni presidenza democratica americana è da sempre ostaggio). Per non parlare delle disastrose conseguenze politiche per i Democrats nel caso, al momento improbabile, in cui un missile iraniano raggiungesse l’Europa.
Una seconda opzione per il neo Presidente sarebbe quella di proseguire con l’approntamento del terzo sito come da programma, ignorando le perplessità dell’opinione pubblica nonché le minacce di Mosca riguardo al dispiegamento di missili Iskander (che hanno una gittata di 300 chilometri, e quindi almeno in teoria sarebbero capaci di colpire l’Europa) nella regione baltica di Kaliningrad. Quest’ultima opzione rischierebbe, tuttavia, di incrinare i già fragili rapporti con la Russia, danneggiando potenzialmente non solo l’America ma anche di riflesso l’Europa, che dipende da Mosca per buona parte del proprio fabbisogno energetico, ponendo in ulteriore pericolo le altalenanti fortune delle ex repubbliche sovietiche.
Ora come ora, un’altra ipotesi è quella di fare del terzo sito una merce di scambio preziosa per Obama, quando si troverà a discutere con Medvedev di possibili concessioni russe all’allargamento della NATO o, ancora più probabile, di un’eventuale partnership russo-americana nella gestione della guerra al terrorismo, in particolare nel concertare azioni comuni verso Iran e Afghanistan. Il fatto che, nonostante le numerose pressioni della stampa, nessuno all’interno dell’Amministrazione Obama si sia ancora espresso in maniera chiara sul futuro dello scudo – rassicurando i partner polacchi e cechi sugli imminenti lavori, ma allo stesso tempo blandendo la Russia con la prospettiva di possibili mediazioni – va a confermare come Obama non voglia ancora pronunciarsi e stia valutando con estrema attenzione le alternative.
In generale, la linea politica dei democratici sembra al momento propendere verso quello che finora si è rivelata la sua più grande forza: la fiducia nella mediazione. Il Sottosegretario statunitense per gli Affari Politici, William Burns, nel corso del suo recente viaggio a Mosca, ha ribadito che l’America è totalmente disponibile alla cooperazione con la Russia per elaborare nuove configurazioni di difesa missilistica “che proteggano tutti noi”. I democratici vogliono credere, in pratica, che basterà spiegarsi con calma per far capire a Mosca l’importanza della libertà politica, dell’autonomia governativa e dei diritti umani nel mondo. E, ovviamente, sarà più che felice di schierarsi a fianco dell’Occidente in loro difesa. Poco importa se anche George W. Bush, sin dalla primavera del 2007, aveva auspicato il coinvolgimento del Cremlino nel progetto per il sistema di difesa aerea da realizzarsi in Europa, rinnovando ufficialmente l’augurio di un maggiore impegno per una collaborazione tra Russia e USA in una vasta gamma di attività di difesa missilistica proposto dall’America a partire dal 2001. Se la Russia si sente minacciata dal terzo sito, sostengono i Democrats, evidentemente gli Stati Uniti non sono stati chiari sulle ragioni per cui è importante costruirlo.
In realtà, ciò che sorprende nel dibattito sulla difesa missilistica in Europa è che si faccia tanto rumore per una questione all’apparenza così marginale. L’esperto di politiche dell’est Europa Edward Lucas ha sottolineato come è curioso che la Russia si indigni per soli 10 missili da posizionare in Polonia, rispetto alle centinaia di cui essa stessa dispone, che continua a costruire e che certamente sono in grado di colpire varie parti del mondo. I missili polacchi peraltro sarebbero intercettori, ovvero vanno a colpire missili intercontinentali in volo suborbitale e li annientano nell’esosfera sfruttando l’energia cinetica al loro rientro in traiettoria: non sono dunque dotati di un elemento detonatore, e quindi non possono far esplodere direttamente un bersaglio, come ad esempio una caserma o un radar. La traiettoria di gittata non permetterebbe neppure che, nell’improbabile eventualità in cui la Russia attaccasse l’Europa con propri missili, gli intercettori fossero in grado di fermarli.
D’altro canto, anche l’America incontra difficoltà nel raccogliere consensi unanimi attorno ad un progetto ancora in fase di realizzazione, le cui caratteristiche tecniche affascinano certamente gli esperti, ma che è stato pensato per combattere una minaccia della quale non esistono ancora prove certe. Il peso della guerra in Iraq, e le critiche a quella che fu una decisione mossa sulla base di accuse presunte e non di prove concrete, brucia ancora nella memoria degli americani. Troppo, per convincere un presidente appena all’inizio del proprio mandato a muoversi in maniera affrettata. Per quanto è indubbio che l’Iran stia perseguendo l’obiettivo del nucleare, su ciò che ne vorrà fare una volta ottenuto si possono avanzare solo ipotesi vaghe, confusa e contraddittorie, come emerge dalle parole degli stessi leader iraniane. Meglio attendere, sembra pensare il Presidente americano, e proseguire sulla via del dialogo.
Ciò nonostante, Obama non vuole dare l’impressione di essere un leader debole, pronto a capitolare di fronte alle prepotenze russe, disposto a barattare la sicurezza dei propri cittadini in cambio di buoni rapporti diplomatici con Mosca. “L’America è pronta a discutere, ma la Russia capirà certamente che un paese ha tutto il diritto di difendere se stesso ed i propri alleati”, ha scritto Obama a Medvedev in una lettera trapelata qualche giorno fa sulla stampa. Forse Barack Obama nutre eccessiva fiducia nella volontà russa di unirsi all’Europa per contrastare il cammino dell’Iran verso il nucleare: dopotutto, è pur sempre Mosca che vende uranio a Teheran, ed assiste i tecnici iraniani nei lavori presso il reattore di Bushehr. O piuttosto, Obama è stato finora così sibillino perché spera di spingere in avanti il progetto del terzo sito per inerzia, attendendo in disparte la delibera dei parlamenti dei paesi ospiti e contando sulla NATO per ottenere un consenso europeo solido per la realizzazione del sito. In questo modo, gli Stati Uniti sosterrebbero di agire in base ad una volontà internazionale condivisa, e non si schiererebbero in prima linea facendo sembrare il progetto di difesa missilistica europea l’ennesimo atto americano di prepotenza che molti ancora oggi identificano con l’era Bush.
Se realmente questa è la logica seguita da Barack Obama, il neo Presidente si rivelerebbe un po’ più calcolatore, ed un po’ meno in sintonia con lo spirito di cambiamento, trasparenza ed innovazione, di quanto sia apparso – o sia voluto apparire – nella sua campagna elettorale. Tuttavia, a livello di strategia politica, una simile proposta potrebbe anche funzionare. Starà ai democratici giudicare se è coerente con le loro convinzioni.