Obama non può rinunciare all’atomica se vuole fermare i nemici degli Usa

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Obama non può rinunciare all’atomica se vuole fermare i nemici degli Usa

30 Giugno 2009

Più scade la credibilità della capacità nucleare degli Stati Uniti, più cresce il pericolo che altri stati si procurino armi atomiche. Una commissione congressuale bipartisan, guidata da alcuni tra i deputati più esperti in materia di sicurezza nazionale, ha concluso che possedere un deterrente nucleare costituisce fattore essenziale per la nostra difesa in un eventuale, prevedibile futuro. Ha anche raccomandato di prendere adeguate misure che mantengano sicuro ed efficiente il deterrente di cui disponiamo attualmente. Sfortunatamente, il presidente Obama ha stilato un’agenda che va in una direzione del tutto diversa.

Si consideri la dichiarazione del presidente, pronunciata durante il discorso primaverile di Praga, circa “l’impegno americano per cercare la pace e la sicurezza di un mondo senza armi nucleari”. Ma un mondo del genere sarebbe davvero pacifico e sicuro? Non è detto. Il mondo prenucleare terminò nel 1945, e fino ad allora, non ci furono né pace, né sicurezza. Dopo, ci sono state molte guerre, ma nessuna si è avvicinata alle carneficine che si verificavano a cadenza più o meno regolare prima dello sviluppo delle armi atomiche, e nessuna ha visto l’impiego di armi atomiche. Si consideri altresì il fatto che, mentre la Casa Bianca ammette l’urgenza di bloccare la proliferazione di armi atomiche, le politiche scelte per raggiungere un tale obiettivo rischiano di peggiorare la situazione.

Parlando a Praga, Obama ha proclamato che gli Stati Uniti insisteranno “immediatamente e decisamente” per arrivare alla ratifica del trattato sul bando dei test atomici militari. Evidentemente l’amministrazione crede, non si sa in base a quale evidenza, che la ratifica di quel trattato scoraggerà altre nazioni dallo sviluppare armi nucleari. Quali nazioni ha in mente Obama? Iran? Corea del Nord? Siria? Forse nazioni allarmate dalle ambizioni atomiche dei loro vicini? O magari nostri alleati che possano, un giorno, perdere la fiducia nell’ombrello nucleare dell’America?

Ci sono buone ragioni per le quali il trattato sul bando dei test atomici non è stato ratificato. Il tentativo di farlo naufragò al Senato nel 1999, principalmente per le preoccupazioni concernenti la verifica del suo rispetto; in effetti, è semplicemente impossibile verificarlo. E’ anche fallito per la comprensibile riluttanza da parte del Senato di rinunciare per sempre a un programma di test che potrebbe, in futuro, essere di importanza cruciale per la nostra difesa e quella dei nostri alleati.

Robert Gates, che ora è segretario alla Difesa, lo scorso ottobre ha ammonito del pericolo che, in assenza di un programma di modernizzazione nucleare – e il Congresso ne ha bocciati molti, anche se di entità modestissima – “a un certo punto, diventerà impossibile continuare a prolungare la vita del nostro arsenale, specialmente alla luce della nostra moratoria sui test”. E se in futuro sorgessero problemi, nel nostro arsenale, che non potrebbero risolversi senza ricorrere ai test? In quel caso le nostre difficoltà scoraggerebbero la proliferazione nucleare, o piuttosto non la stimolerebbero?

Per il futuro, quello prevedibile, gli Stati Uniti e molti dei nostri alleati contano sul nostro deterrente nucleare. E fino a quando gli Stati Uniti possiederanno armi nucleari, queste devono essere – come lo stesso Obama ha riconosciuto a Praga – “sicure, protette ed efficienti”. Eppure il budget da lui proposto per il 2010 non prende le misure necessarie per esaudire una tale garanzia.

Il problema è stato studiato approfonditamente dalla commissione Perry-Schlesinger (così chiamata dai nomi di William Perry, segretario alla Difesa con Bill Clinton, e James R. Schlesinger, segretario alla Difesa con Richard Nixon e Gerald Ford). Il rapporto che ne è emerso, pubblicato a maggio, avanza numerose raccomandazioni per aumentare i fondi destinati sia al miglioramento dell’arsenale, che alla conservazione dell’intera struttura dei laboratori atomici – per esempio il complesso di Los Alamos, nel New Mexico; lo stabilimento Pantex in Texas; l’impianto Y-12 in Tennesse, pericolosamente trascurato – attualmente in disfacimento e per questo considerata il “ventre molle” delle nostre difese nucleari.

La commissione ha quindi affermato che tutta l’infrastruttura legata alle armi nucleari è essenziale per la sicurezza, la protezione e l’efficacia del nostro deterrente, aggiungendo che “necessita seriamente di un cambiamento”. Guardando quindi alle nostre capacità scientifiche e tecniche, il rapporto conclude che “l’infrastruttura intellettuale” presenta “problemi gravi”. Una delle cause principali è una tristissima inadeguatezza degli stanziamenti. La commissione argomenta, correttamente, che dobbiamo “esercitare con bravura l’intero spettro delle attività di laboratorio, inclusa la progettazione delle armi nucleari […]. Abilità che non sono esercitate vanno perdute”. Il presidente e il Congresso devono prestare ascolto a queste raccomandazioni.

C’è chi crede che se smettessimo di investire adeguatamente nel nostro deterrente nucleare, ci muoveremmo verso un mondo maggiormente libero dalla minaccia nucleare. Nei fatti, bloccare una modernizzazione indispensabile significa un disarmo unilaterale per effetto dell’obsolescenza degli arsenali. Un siffatto disarmo unilaterale avrebbe l’unico effetto di incoraggiare la corsa al nucleare di terzi, dal momento che i nostri alleati si sentirebbero in pericolo e i nostri avversari sarebbero allettati da nuove opportunità.

Lo schieramento che propone il controllo degli armamenti è lo stesso che trascura i programmi per una modernizzazione essenziale del deterrente, anzi in alcuni casi vi si oppone apertamente, e in tal modo compromette la prospettiva di un’ulteriore riduzione dell’arsenale nucleare americano. Se il nostro stock atomico invecchia e le nostre preoccupazioni sulla sua affidabilità crescono, dovremo compensare questa sfiducia qualitativa conservando un numero di testate maggiore di quanto sarebbe opportuno. Questo fatto influenzerà inevitabilmente i futuri negoziati sugli armamenti, a iniziare dal prossimo Strategic Arms Reduction Treaty (Trattato per la riduzione degli armamenti strategici).

In questi negoziati, i russi insistono su un falso legame, quello che esisterebbe tra armi nucleari e difesa antimissile. La loro impostazione è quella di pretendere la nostra rinuncia alla difesa contro i missili nordcoreani o iraniani, quale precondizione per una riduzione delle forze strategiche russe e americane. Come il presidente, adesso, taglia il budget per la difesa antimissile e cede ai russi sull’installazione di basi in Polonia e Repubblica Ceca, così domani potremo finire con l’abbandonare una necessaria difesa degli Stati Uniti e degli alleati europei dal pericolo iraniano che si profila all’orizzonte.

E’ in voga la tesi secondo cui basterebbe che russi e americani riducessero i rispettivi arsenali atomici per far sì che tutti gli altri paesi del mondo riducessero i propri arsenali o mettessero da parte i piani per arrivare a possedere armi atomiche. Un’idea del genere, eloquente di che cosa sia “l’approccio morbido” in tema di stop alla proliferazione nucleare, assume evidentemente che le ambizioni nucleari di Kim Jong Il o Mahmoud Ahmadinejad verrebbero ridotte o addirittura svanirebbero di fronte alla riduzione dei deterrenti russo e americano, o che India, Cina e Pakistan rispondessero a una tale iniziative riducendo automaticamente i loro arsenali.

Sono idee sbagliate e pericolose. Se adottassimo subito la dottrina “nucleare zero”, quasi certamente sarebbero molti quelli che moltiplicherebbero gli sforzi per entrare in possesso di una o due bombe atomiche, semplicemente per acquisire lo status di “superpotenza”. Una robusta capacità nucleare dell’America costituisce un freno fondamentale per i proliferatori; una capacità nucleare indebolita o incerta otterrebbe l’effetto opposto.

George Shultz, William Perry, Henry Kissinger e Sam Nunn su queste stesse pagine si sono detti d’accordo sul lontano traguardo di un mondo libero da armi nucleari – un traguardo su cui io mantengo i miei dubbi. Ma nessuno di loro dice che dobbiamo arrivarci trascurando il nostro deterrente. La commissione Perry-Schlesinger ha indicato una strada per proteggere quel deterrente. Il Congresso e il presidente dovrebbero seguirla, senza ritardi.

Jon Kyl è il senatore repubblicano dell’Arizona. Richard Perle è attualmente membro dell’American Enterprise Institute ed è stato assistente del segretario alla Difesa durante l’amministrazione Reagan.

Tratto da The Wall Street Journal

Enrico De Simone