Obama scende al 41 per cento, la lunga coda del Datagate
11 Agosto 2013
Il datagate e Putin, il Patriot Act e la riforma della NSA. Il presidente americano Barack Obama prova a uscire dall’angolo, ma Gallupp lo dà in caduta libera nei sondaggi sul gradimento. Dice che Vladimir Putin usa una retorica antiamericana, chiede "una pausa" nei rapporti con Mosca, ma Putin, secondo CNN, ha umiliato gli Usa concedendo l’asilo a Snowden. Quando il presidente americano ha annullato il vertice di settembre con Putin, lo zar di tutte le russie si è guadagnato questa immagine internazionale di difensore della libertà di parola e quella interna di "duro" da Guerra Fredda. E’ stato il momento più basso per gli Usa dal "reset" proposto dalla Clinton nel 2009. Così l’effetto del caso Snowden è un passo indietro sul Patriot Act, una freno alle attività della NSA. L’equilibrio tra "sicurezza e libertà" di cui parla Obama rappresenta l’ultimo avvitamento della politica estera Usa.
Putin la prossima settimana è al Cairo, su ambascia saudita, dove incontrerà il "nuovo Nasser" arabo, al Sisi. Al Sisi è l’uomo forte in Egitto, il generale e ministro della difesa del coup anti Morsi. Pare che il Mossad abbia avvertito El Sisi dei piani per farlo fuori architettati dalla Fratellanza. Per Israele, molto meglio un nasseriano fuori tempo massimo al Cairo che i Fratelli Musulmani pronti a distruggere gli stati nazionali arabi inseguendo il sogno del grande islam politico (come se i cattolici volessero distruggere tutti gli stati nazionali europei per metterne a capo il papa). Sempre gli israeliani, probabilmente con l’aiuto degli egiziani, hanno colpito ieri con un drone dei miliziani islamisti.
In Egitto, gli Usa hanno scontentato tutti. La Fratellanza, prima legittimata e poi rovesciata dai militari. Laici, nazionalisti e socialisti, giovani, che si aspettavano una reazione degli Usa dopo l’elezione di Morsi e fra cui adesso fiorisce l’antiamericanismo. E’ il de profundis del discorso tenuto al Cairo nel 2009. Lo stesso paradigma dell’incertezza sembra guidare la politica americana in Siria, dove il presidente aveva detto "mai oltre la linea rossa dell’uso di armi chimiche", che invece è stata superata. I "ribelli" sono stati lasciati soli per paura delle infiltrazioni qaediste; del resto Assad è stato un argine al terrorismo. Gli iraniani, che da quando c’è la guerra civile in Siria si sono moderati tanto da eleggere Rouani e rimpinguare l’asse sciita (Teheran-Damasco-Hezbollah), adesso proporranno di riaprire i negoziati sul nucleare. Con la scusa di quello civile, potrebbero convincere il presidente Usa a tendere la famosa mano.
L’intelligence che in pieno agosto annuncia pubblicamente nuovi attacchi quaedisti, le ambasciate chiuse, lo scampato pericolo (almeno per adesso) avrebbero potuto essere ‘venduti’ come un successo della politica di prevenzione che ha raggiunto il suo punto più alto con l’eliminazione di Osama Bin Laden, ma il caso Snowden costringe il Presidente sulla difensiva. Intercettiamo i terroristi, ma al prezzo di rompere patti decennali con il governo tedesco. Di Obama qui da noi si raccontava che avrebbe chiuso la tormentata agenda islamica per passare al confronto con la Cina, un passaggio epocale, come nel lungo viaggio a inizio secondo mandato tra Indonesia, Sud Est asiatico e Giappone. Ma l’islam resta la spina nel fianco.
L’effetto ottenuto da Obama in Nord Africa e Medio Oriente somiglia alla balcanizzazione della ex Jugoslavia ottenuta dal suo predecessore democratico Clinton. S’interviene senza intervenire, magari limitandosi a colpire dall’alto come in Libia, senza sporcarsi le mani come fece Bush in Iraq. Droni, soft power e netwar non fanno altro che alimentare la propaganda qaedista sui "vili occidentali" che non hanno il coraggio di affrontare il nemico sul terreno. Risuonano le parole d’ordine binladiane che tra novanta e 2001 mobilitarono la internazionale islamista.