Obama sta cercando di vendere una bancarotta agli elettori

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Obama sta cercando di vendere una bancarotta agli elettori

15 Aprile 2011

A Barack Hussein Obama piacerebbe vincere facile, piacerebbe farlo ancora come nel 2008. Solo che, a differenza di allora, nel 2012 giocare tutto sulla sentimentalismo del “primo presidente nero” non funzionerà più, e pure l’effetto sorpresa mancherà del tutto. Adesso, infatti, gli americani, moltissimi dei suoi elettori compresi, sanno benone chi è Obama. Dunque, per provare a vincere facile con un piano B, Obama sta riciclando in questi giorni la vaghezza cerchiobottista del discorso sullo Stato dell’Unione. Dice Obama che il suo programma è più tasse per i ricchi e un po’ riduzione della spesa pubblica. Ma l’universo mondo sa bene che i “ricchi” contro cui si scaglia Obama rischiano di essere semplicemente il ceto medio statunitense, e pure che la sola idea di una cosa così è roba da suicidio sociale giacché quello stesso universo mondo sa che è proprio il ceto medio la cinghia di trasmissione e la forza trainante in un Paese, soprattutto quando quel ceto medio è lasciato libero d’intraprendere e vive liberato da fardelli fiscali inutili.

Quanti ai tagli, poi l’idea è giusta. Ma, di grazia, quali e quanti? Nessuno lo sa e nessuno nel mondo obiamano proferisce parola. Che il presidente in carica cerchi, appunto almeno a far data dal discorso sullo Stato dell’Unione, d’imbonirsi gli elettori esasperati dal fisco, e in questo bene rappresentanti dal movimento dei “Tea Party” sin dentro il Congresso federale eletto il 2 novembre, e però anche di riconquistarsi la propria constituency più che liberal è cosa piuttosto evidente. Piuttosto evidente è però pure il fatto che invece di riuscire ad accontentare entrambi, Obama finirà per scontentarli tutti. Se a destra, infatti, il suo piano B risulta piuttosto scoperto… sul lato B…, a sinistra, non sono certo pochi gli americani che si sentono presi in giro da un “change” che non è mai venuto (così come loro lo volevano) e che per di più oggi lo stesso suo demiurgo sta annacquando per cercar di non affondare completamente.

Su FrontPage Magazine mette ben il dito nella piaga Rick Moran, uno dei più agguerriti opinionisti conservatori di oggi, scrivendo che mercoledì Obama ha prospettato il risparmio di mille miliardi di dollari attraverso la riduzione dell’interesse sui pagamenti nei prossimi dodici anni. Ma, ricorda Moran, oggi quell’interesse è quasi a zero e difficilissimo è immaginare che resti tale lungo il periodo di tempo prospettato, soprattutto per il fatto che l’inflazione sta tornando ad alzare la testa. Anzi qualcuno calcola che, proprio per l’impennata che quegl’interessi subiranno, il debito riconducibile a quella voce di bilancio crescerà dagli attuali 196 miliardi di dollari agli 800 previsti per il 2016.

Non meno fumosa è la posizione di Obama sui servizi sanitari (il cosiddetto programma statale “Medicare”) che promette costi più bassi attraverso la modifica del modo in cui vengono pagati. Ovvero tramite «nuovi incentivi per i medici e gli ospedali finalizzati a prevenire gl’incidenti e a migliorare i risultati». Obama sostiene che così, ora del 2023, verranno risparmiati altri 500 miliardi. Ma, commenta Moran, se l’entità di questo risparmio sempre futuribile è vera quanto lo è quella dei mille miliardi di dollari che si sarebbero dovuti risparmiare con la famosa riforma sanitaria obamiana ma che non si vedono nemmeno all’orizzonte, allora gli Stati Uniti sono davvero a cavallo… Per tacere il fatto che nulla viene però al contempo fatto per arginare la voragine che la politica sin qui seguita proprio in merito ai servizi sanitari statali apre clamorosamente da anni, la quale potrebbe presto da sola affossare definitivamente l’intera economia statunitense.

Le promesse elettoralistiche di Obama ammontano insomma solo a chiacchiere e distintivo, tanto che se continua così fra un po’ al presidente in carica non rimarrà più nemmeno il “passi” per entrare nell’Ufficio Ovale. Perché, nota ancora il bravo Moran, come rivela l’economista Michael Tanner del Cato Institute di Washington, il piano obamiano lascerà il peso e i costi dello Stato federale crescere più o meno con lo stesso ritmo di oggi, portando la spesa pubblica a suggere dal 25% del prodotto interno lordo di oggi al 42% del 2050. Si chiama bancarotta e Obama sta cercando di venderla agli elettori. Una volta in più, davvero, e con buona pace dei nostri giornali: a Obama la vittoria presidenziale nel 2012 possono solo consegnarla brevi manu i Repubblicani…

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute e direttore del Centro Studi Russell Kirk