Obama stringe sulla sanità per paura di autunno caldo ed elezioni di mid-term

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Obama stringe sulla sanità per paura di autunno caldo ed elezioni di mid-term

Obama stringe sulla sanità per paura di autunno caldo ed elezioni di mid-term

23 Luglio 2009

C’è una famosa battuta di Giulio Andreotti stando alla quale «ci sono pazzi che credono di essere Napoleone e pazzi che credono di poter risanare le ferrovie dello Stato».

Dall’altra parte dell’Atlantico, potremmo riadattarla dicendo che ci sono pazzi che credono di essere Abramo Lincoln e pazzi che credono di poter riformare il sistema sanitario nazionale.

Quando Bill Clinton ci provò nel 1993, mettendo in cantiere la riforma basata sulle assicurazioni sanitarie a carico dei datori di lavoro (che i detrattori soprannominarono sardonicamente “IllaryCare” perché era caldeggiata soprattutto dall’allora first lady), subì una debacle di proporzioni storiche, grazie ad una micidiale sinergia tra l’opposizione repubblicana e la lobby delle compagnie di assicurazione.

Gli esperti di comunicazione politica ancora oggi considerano un “classico” del genere la campagna “Harry e Louise”, una fortunata serie di spot televisivi raffiguranti una coppia di mezz’età in un ipotetico futuro prossimo alle prese con gli inconvenienti burocratici della riforma clintoniana.

La storia è nota: i repubblicani grazie a quella scuffiata riconquistarono, capitanati da Newt Gingrich, la maggioranza in parlamento per oltre dieci anni; e ci volle la controffensiva mediatica imperniata sul messaggio subliminale sotteso al fortunatissimo telefilm “ER” (non a caso prodotto dal clintonianissimo Steven Spielberg, trasmesso dalla NBC a partire dal settembre 1994) per recuperare quel poco di consenso necessario ad evitare, almeno, interventi legislativi diametralmente opposti a quelli progettati dalla Casa Bianca. Il minore dei mali fu un nulla di fatto.

Quindici anni dopo, la saga di ER volge al termine, ma quella del presidente che si gioca tutto sull’ambizione di introdurre la copertura sanitaria “universale” ricorre immutata.

Il punto è : le cose stanno diversamente sul piano dell’opinione pubblica?

C’è una consapevolezza diffusa che il sistema sanitario americano “così com’è” non si può non riformare? (Beninteso: riforma inevitabile non per ragioni morali, come invece da svariati lustri ci sentiamo ripetere da questa parte dell’Atlantico, ma per ragioni economiche, come del resto dall’altra parte dell’Atlantico si va ripetendo, anche da sinistra, da almeno trent’anni).

La riforma del sistema sanitario è la “prova del fuoco” che definirà i limiti della presidenza Obama, e lascerà il segno nella percezione di cosa è capace davvero il nuovo presidente: “più del sostegno all’economia, più di qualunque altra cosa da lui fatta sin qui, stabilirà la misura del suo peso e del suo successo da qui in poi”. Sono parole di Tom Daschle, raccolte in un lungo articolo sul New York Times di ieri.

Daschle è il guru politico di Obama sul welfare, ed era ufficialmente destinato a divenire non solo il ministro della salute, ma anche il regista plenipotenziario (anzi lo “zar”, come è divenuto di gran moda dire nel politichese USA) della annunciata, storica, fatidica Grande Riforma del sistema sanitario nazionale.

Si era lungamente preparato ad occupare quel posto nella stanza dei bottoni, tant’è che alla vigilia delle primarie aveva pubblicato un pamphlet intitolato “Critical: What We Can Do About The Health-Care Crisis”  (“Condizioni critiche: cosa possiamo fare per la crisi dell’assistenza sanitaria”), nel quale proponeva di risolvere la grana istituendo una “Federal Health Board”, una sorta di Federal Reserve dell’assistenza sanitaria, allo scopo di sottrarre una serie di decisioni cruciali in materia al parlamento, ritenuto troppo succube delle lobby, affidandoli ad una entità “indipendente” chiamata a regolare il rapporto tra il sistema sanitario pubblico e quello privato, in teoria in modo da creare un sistema economicamente accessibile e conveniente per tutti i cittadini.

Non è invece divenuto né ministro né “zar”, poiché alla vigilia della sua nomina uscì fuori che aveva recentemente sistemato (pagando) un problemino di evasione fiscale per 128 mila dollari. Dopo giorni e giorni di screditanti polemiche,  rinunciò alla nomina. Il ministero è andato ad un personaggio meno appariscente, la signora Nancy-Ann DeParle. Ma Daschle rimane, ovviamente, un importante consulente del 44esimo presidente in questo ambito.

Quanto al merito del progetto da lui elaborato, è ben difficile, nel guazzabuglio delle trattative in corso, pronosticare quanto di quella proposta sia destinato ad essere trasfuso in un disegno di legge.

Obama nega che la posta in gioco sia la sua reputazione politica, ma il vero e proprio bombardamento di conferenze stampa degli ultimi giorni, culminato in quella in diretta televisiva a reti unificate di ieri sera (due del mattino ora italiana), conferma che ci sta letteralmente “mettendo la faccia”, il che è un’arma a doppio taglio perché dà all’opposizione un motivo ulteriore (rispetto al merito della riforma) per cercare di non dargliela vinta.

Il fantasma della Caporetto del 1994 (anzi di quella Waterloo, espressione che infatti in questi giorni ha preso a circolare con insistenza sui media) si affaccia quindi sempre più insistentemente, sondaggi alla mano.

Quel che è certo è che il tempo stringe. Obama si ostina a ribadire che o si raggiunge un accordo in parlamento prima della sospensione agostana, oppure non se ne fa nulla.

La “deadline” agostana è presto spiegata, come si può leggere sul blog di Robert Reich, simpatico ministro del lavoro negli anni della disavventura dell’Hillarycare: dopo le vacanze estive, la tenaglia delle pressioni dell’opposizione repubblicana da un lato e di quelle delle lobby interessate dall’altro, è fisiologicamente destinata a salire al punto da far slittare tutto almeno alla fine dell’anno; ma a quel punto, la questione verrà ineluttabilmente calamitata nell’orbita delle elezioni di medio termine del 2010, e da quel tritacarne il progetto di riforma non ha nessuna speranza di uscire vivo.