Obama suona la ritirata, anzi no
01 Marzo 2009
di redazione
"Il 31 agosto dell’anno prossimo la nostra missione di combattimento in Iraq sarà finita," ha promesso solennemente Obama ai Marines in partenza per l’Afghanistan. In realtà la missione continuerà fino al 2011, visto che in Iraq resteranno circa 50mila uomini (cinquantamila).
Parlando ai Marines nella base di Camp Lejeune, Obama ha messo in piedi un perfetto siparietto “ma anchista”. Il “ma anchismo” è passato alla storia della politica italiana come la cifra stilistica del veltronismo. Stiamo con i precari, ma anche con gli imprenditori. Con GayLeft, ma anche con la cattolicissima Binetti. Con Alitalia, ma anche con Air France.
Nel 2007 Obama aveva chiesto a Bush di ritirato tutte le truppe Usa dall’Iraq entro la primavera del 2008. Adesso, se tutto andrà bene, le operazioni di ritiro cominceranno l’anno prossimo. In campagna elettorale Obama aveva detto che avrebbe portato via l’ultimo uomo da Baghdad in 16 mesi. Oggi i mesi si raddoppiano.
Dei 50.000 soldati americani che resteranno in Iraq per stabilizzare il Paese è vero che non avranno “compiti e missioni di combattimento”, come scrive l’Unità, ma anche che saranno pronti a combattere se e quando dovesse servire.
Le elezioni di Mid-Term del 2010 sono dietro l’angolo e Obama dovrà rendere conto del gap che si è aperto tra le sue promesse elettorali e ciò che si può effettivamente realizzare. Questo ha generato il cerchiobottismo di Camp Lejeune: sto con i pacifisti, ma anche con i militari a cui voglio alzare la paga. Così il piano di ritiro ha avuto il plauso del senatore McCain mandando in bestia la Pelosi e i liberal del Congresso.
Per altri due anni, in Iraq resteranno più o meno lo stesso numero di truppe americane impegnate in Afghanistan (Missione Isaf della Nato + "Enduring Freedom"). Ma all’Unità devono aver perso la calcolatrice.