Obama torna a casa e i Repubblicani lo sfidano su Guantanamo e Israele

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Obama torna a casa e i Repubblicani lo sfidano su Guantanamo e Israele

15 Novembre 2010

Il Presidente Obama ha scelto la politica estera per recuperare consensi e rilanciare l’economia americana, ma dopo aver riconquistato la Camera i Repubblicani sono pronti a stanarlo anche su questa materia. Concluso il viaggio in Asia, in cui ha lanciato la sua idea di un’alleanza più stretta fra gli Usa e le democrazie dell’area (India, Giappone, Indonesia e Corea del Sud), il Presidente ora deve tornare alla realtà, alla questione palestinese e ai delicati rapporti con l’alleato israeliano che si sono contratti dal momento del suo insediamento alla Casa Bianca.

Ha fatto discutere la decisione del repubblicano Eric Cantor di incontrare a New York il premier israeliano Netanyahu, assicurandogli che l’Elefantino s’impegna a difendere gli interessi di Israele contro ogni altra decisione presa dal governo americano. Cantor è stato accusato di sabotaggio, di mostrare una “doppia fedeltà” verso il Suo Paese e lo Stato ebraico, ma non è la prima volta che un politico americano va in totale controtendenza rispetto alla linea dell’Amministrazione: Nancy Pelosi fece imbestialire Bush recandosi in visita a Damasco e altri deputati democratici hanno scortato i pacifisti americani in Iraq. Cantor vuol solo spingere l’acceleratore, il conto alla rovescia per le presidenziali del 2012 è già iniziato.

Un altro segnale viene da Guantanamo: la notizia che KSM, la mente dell’11 Settembre, resterà a marcire nel supercarcere cubano allunga i tempi del calendario fissato per la sua chiusura. Il progetto dell’attorney general Holder di processare il terrorista a New York è fallito, e adesso i repubblicani possono alimentare la frustrazione della base democratica sulle promesse mancate del Presidente.

Ma è sui talks fra Abbas e Netanyahu che si gioca il futuro politico di Obama in politica estera (Afghanistan permettendo). La Clinton si è data un obiettivo ambizioso proponendo a Israele di congelare per altri 90 giorni gli insediamenti in West Bank – con l’eccezione di Gerusalemme – un piano accettato dal premier israeliano e andato di traverso alla sua maggioranza in parlamento. Nel pacchetto offerto dalla Casa Bianca ci sono molte offerte a prima vista ghiotte, come la vendita di nuovi aerei da combattimento o l’assicurazione che l’America non appoggerà eventuali azioni dell’Onu contro lo stato ebraico, usando il suo potere di veto in Consiglio di sicurezza. Ma tutto questo a patto che il dialogo con i palestinesi prosegua. Scaduti i tre mesi di tempo, se Abbas e i suoi non avranno raggiunto alcun risultato, la costruzione degli insediamenti potrà riprendere senza condanne da Washington.

Il ricatto di Obama sta nel legare le offerte fatte a Israele al proseguimento del dialogo israelo-palestinese. Che farebbe il Presidente degli Usa se la Knesset sfiduciasse il piano proposto dalla Clinton? Se venissero edificate nuove costruzioni a Gerusalemme? L’America rinuncerebbe davvero al veto e abbandonerebbe Israele? Improbabile, eppure l’atteggiamento del Dipartimento di Stato alimenta questi interrogativi.

C’è solo un argomento che non appare fra i punti elaborati dalla Clinton ma potrebbe persuadere l’alleato israeliano più di mille altri. L’Iran. Negli incontri dei giorni scorsi se n’è parlato sicuramente. Se Obama, in via indiretta, fosse riuscito a rassicurare Netanyahu, è probabile che il premier israeliano userà questa disponibilità per tenere a basa i suoi. Al contrario, non basterà qualche commessa militare in più per ricucire lo strappo di questa presidenza con Gerusalemme . Nel discorso tenuto in Indonesia la settimana scorsa, d’altra parte, Obama ha ricordato al mondo islamico i suoi sforzi per aiutare i palestinesi e spingere Israele a non prendere decisioni solitarie e che l’indebolirebbero.

Se i Repubblicani dovessero egemonizzare anche la discussione in politica estera, bloccando la sua strategia per il Medio Oriente, a Obama resterà un’unica carta da giocare per rovesciare la partita a suo favore. Un’operazione contro gli impianti nucleari di Teheran, che vuol dire anche contro l’aviazione e l’esercito iraniano. La rivista Stratfor ha evocato questo scenario subito dopo la sconfitta alle elezioni di midterm. Obama non ne parla ma forse sta usando l’Iran come uno schermo per blandire Netanyahu.