Occhio Cameron che l’Italia non è ancora cambiata
19 Dicembre 2015
In Europa si discute di “Brexit”, la possibile uscita della Gran Bretagna dalla Ue. David Cameron vorrebbe strappare al più presto un accordo di riforma con Bruxelles “per risolvere i timori del popolo britannico” rispetto al processo di adesione, puntando in primis sull’immigrazione (intraeuropea), ma anche su temi come sovranità e competitività. Germania e Francia sembrano titubanti, ieri Angela Merkel ha chiesto che vengano rispettati principi come non discriminazione e libera circolazione.
Il presidente del consiglio Matteo Renzi, che è stato spesso descritto di casa a Londra, a suo agio fra i top manager della City, ha voluto sparigliare aprendo a Cameron: il dibattito chiesto da David è “molto importante”, perché offrirebbe alla Ue “la possibilità di discutere di una strategia per i prossimi dieci anni”. “Non si può seguire solo una strategia del day by day”, ha chiosato il nostro primo ministro. Tagli alla burocrazia, processi più snelli, economia digitale e innovazione, sono alcuni temi strategici emersi dal confronto anglo-italiano.
Dunque Cameron stia tranquillo: l’Italia è cambiata, non è più stretta dalla morsa della burocrazia e dei mille vincoli che hanno sfregiato il nostro capitalismo, ora è un Paese attrattivo che risponde a quel criterio di competitività che Londra mette ai primi posti nella riforma dei rapporti con la Ue. Beh, purtroppo dobbiamo dare una brutta notizia al primo ministro inglese, se ancora non se n’è accorto. L’Italia non è ancora cambiata così tanto.
Sul tavolo della politica energetica nazionale è aperto da anni un dossier legato a nuovi investimenti nel settore offshore che coinvolge direttamente una delle aziende inglesi del comparto. Azienda che dopo mille peripezie sembrava sul punto di aver raggiunto il traguardo, dopo valutazioni ambientali scrupolosamente rispettate, deduzioni e controdeduzioni, anche i ministeri competenti avevano dato il loro benestare ai nuovi progetti.
Lo stesso Governo Renzi in materia di idrocarburi aveva mostrato di voler seguire la linea dinamica intrapresa dal Governo Monti e poi da quello Letta, puntando sul mix, l’efficienza, la sicurezza e il rispetto dell’ambiente. Ma gli inglesi non hanno fatto i conti con uno dei grandi moloch italiani, lo spettro dell’emendamento.
Anche se non è ancora detta l’ultimissima parola, il Governo sull’offshore si è incagliato. Anzi, si è proprio dato la zappa sui piedi. Per sgombrare il campo da eventuali referendum “no triv” già minacciati dalle Regioni pronte a bloccare tutto, sul più bello l’esecutivo ha sfoderato un emendamento – reintrodurre il divieto per le eplorazioni oltre le 12 miglia, venti e rotti chilometri dalle coste – che sembra uno sgambetto fatto a quegli investitori stranieri che hanno l’unica colpa di aver scelto il nostro Paese.
Ora vai a spiegare a Cameron e alle aziende inglesi impegnate nel settore che in Italia le classi dirigenti nazionali, le leadership, devono puntualmente scendere a Canossa con gli enti locali, i quali enti locali a loro volta inseguono spesso per ragioni elettorali i movimenti territoriali, con l’unico risultato di alimentare la sindrome del NO che impedisce di fare opere e investimenti. Tutto questo mentre osservatori autorevoli ci ricordano che eventuali moratorie sulle trivellazioni costerebbero all’Italia, e in particolare alle regioni del Sud (chi l’ha visto?), svariati miliardi di euro.
Così, mentre Regioni a guida piddina come l’Abruzzo o la Puglia applaudono tutte soddisfatte per l’emendamento del Governo, ci chiediamo che ne pensi il primo ministro Cameron della competitività in Italia, del rispetto dei trattati sul libero commercio e in fin dei conti della politica energetica nel nostro Paese. Occhio David che l’Italia non è ancora cambiata. Siamo al vecchio "day by day".