Odio Trump ma voterò per lui

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Odio Trump ma voterò per lui

05 Luglio 2016

C’è una regola che i sondaggisti trascurano spesso, com’è accaduto per Brexit. Non sempre gli elettori confessano quello che, in cuor loro, hanno intenzione di votare davvero. Gli exit poll successivi al referendum inglese sembravano premiare il Remain ma sono stati rovesciati dai numeri del voto, che ha visto il trionfo del Leave. Succedeva anche in Italia: non tutti ammettevano di votare Democrazia Cristiana, che poi puntualmente vinceva le elezioni.

Per questo motivo va letto con attenzione il commento pubblicato in questi giorni dal Washington Post a firma di Jim Ruth, scrittore e consulente finanziario in pensione, un pezzo dal titolo eloquente: Odio Trump ma potrebbe avere il mio voto. L’autore, che non difetta di ironia, scrive che ci saranno tanti americani i quali, tirandosi dietro con cura la tendina una volta entrati nella cabina elettorale, per non farsi vedere, sceglieranno il Don.

Ruth non ama il tycoon newyorkese che sembra aver strappato sorprendentemente la nomination repubblicana: lo considera un bullo, un demagogo, una persona che preferisce circondarsi di “yesmen” e che se dovesse entrare alla Casa Bianca avrà bisogno di una squadra di esperti consulenti per governare. Ma detto ciò, Trump non è Hillary Clinton. Con Trump non avremo altri 4, forse 8 anni di politicamente corretto. Grazie a “The Donald”, gli USA non si trasformeranno in una socialdemocrazia in salsa europea.

In America c’è una “maggioranza silenziosa”, come la definisce Ruth, che non corrisponde allo stereotipo dell’elettore medio di Trump confezionato dai media e dai suoi innumerevoli avversari: persone che non sono ignoranti, disinformate, povere o disoccupate, ma al contrario benestanti, ben istruite, che hanno aperto imprese di successo, hanno lavorato sodo e dato lavoro ad altri, ritirandosi gloriosamente in pensione. Elettori conservatori sul fisco, ma non estremisti del Tea Party. Moderati, insomma.

Voteranno Trump. È la generazione dei baby boomers che quando frequentavano l’università erano abituata al confronto serrato, al dibattito duro e senza sconti, e che oggi guardano con sospetto a un sistema della istruzione dove per tutelare le minoranze e non turbare la sensibilità altrui vengono congelate le opinioni dissenzienti. Sono quei repubblicani che oggi se la ridono dei rivali democratici: questi ultimi credevano di aver messo nel sacco un partito conservatore dilaniato da 17 candidature alle primarie, prima che a scornarsi fossero proprio i Dem, Clinton e Sanders, e Trump emergesse come un potenziale vincitore delle presidenziali.

La maggioranza silenziosa può anche non digerire Donald Trump per la sua sfrontatezza ma gli riconosce carisma e volontà di vincere. Del resto, sottolinea Ruth, il fenomeno Trump non è stato solo il prodotto di un Partito Repubblicano diviso e indebolito. Anche la sinistra ha le sue responsabilità nella ascesa del Don: il presidente Obama ha scelto per anni lo scontro frontale con i Repubblicani al Congresso, basta citare la riforma sanitaria, e adesso non può lamentarsi se il “Grand Old Party“, alla fine dei giochi, convergerà sul candidato che proprio l’establishment dell’Elefantino voleva affossare a tutti i costi.

La maggioranza silenziosa, la “right nation“, la nazione che si sente giusta perché è di destra, voterà per Trump. Magari turandosi il naso, senza dirlo ai sondaggisti e rovinando la festa a chi si fida troppo degli exit poll. Odio Trump ma “è l’unico che sembra voler conservare lo stile di vita americano”, scrive Ruth. Come dargli torto?