Oggi Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili
06 Febbraio 2017
Il 6 febbraio è la Giornata Mondiale contro le mutilazioni genitali femminili (MGF). Una giornata avvolta da retorica, giustificazioni e chiacchiere inutili. Una giornata che ricorda un fenomeno oggi maggiormente conosciuto, grazie agli studi accademici che negli anni si sono succeduti e a qualche giornalista e “attivista” meno mainstream degli altri.
Le stime sono terrificanti: sono più di 200 milioni nel mondo le donne che convivono con le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili, circa 500.000 nella sola Unione europea, e 3 milioni le bambine a rischio ogni anno. Eppure c’è chi ritiene che sia poco lecito parlare di ‘barbarie’ e di ‘orrore’ perché teme di emettere un “giudizio culturale” su di una faccenda che si commenta sicuramente da sé e che, a dispetto di quanto pensano in tanti, non ha bisogno mica di essere inserita nel fantomatico ‘dialogo interculturale’ necessario.
E’ un fenomeno terribile che coinvolge persino l’Italia. Secondo i dati Istat (2015), infatti, le donne residenti nel nostro Paese provenienti da Stati a tradizione escissoria sono 161.457 e rappresentano il 6,1% sul totale delle donne straniere, numero che non comprende le migranti che hanno cittadinanza italiana, e i migranti irregolari e richiedenti asilo. Il fenomeno è presente nel nostro Paese in maniera illegale. Da noi si eseguono il taglio del clitoride e delle piccole labbra. L’infibulazione vera e propria, invece, essendo troppo complicata e pericolosa da eseguire al di fuori di una struttura sanitaria ospedaliera non viene fatta. Almeno è quello che è emerso sino ad ora. Il problema delle Mgf (mutilazione genitali femminile) resta comunque allarmante poichè non sono rari i casi di ragazze che durante le vacanze vengono portate dai parenti nei loro paesi di origine per essere sottoposte a mutilazione.
L’infibulazione non altro che il controllo della sessualità femminile: una violenza bella e buona che nel dettaglio consiste nell’asportazione del clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra vaginali con cauterizzazione, cui segue la quasi totale cucitura della vagina a parte un piccola apertura che permette la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale. Donne destinate ad avere rapporti sessuali dolorosi e difficoltosi. E non sono immumi da cistiti, ritenzione urinaria e infezioni vaginali. Ulteriori danni, inoltre li hanno al momento del parto.
Le Mgf vengono praticate soprattutto su neonate oppure su bambine tra i primi anni di vita e i 14 anni, anche se si conoscono casi di donne che arrivano alla mutilazione dei genitali in tarda età , oltre i 40 anni (anche se si parla di reinfibulazione post parto, dopo la morte del marito o divorzio). Un dolore destinato a non finire mai.
Una donna racconta così, al Corriere, un po’ della sua storia, spiegando anche in qualche modo di cosa si parla: “La pratica delle mutilazioni dei genitali femminili, l’escissione, fa parte della nostra cultura da sempre. Oggi molte donne africane la mettono in discussione e in quasi tutti i Paesi africani è proibita dalla legge. Ma non è possibile cancellarla dalla propria vita, anche perché milioni di donne ne porteranno la cicatrice per sempre, me compresa. Mi chiamo Assetou, vengo dal Burkina Faso, vivo a Pordenone da diversi anni, sono sposata e madre di tre figli, due femmine e un maschio. Sono arrivata in Italia con il ricongiungimento familiare nel 1997. Dal 1999 lavoro come operaia e dal 2002 sono mediatrice culturale e collaboro con diverse associazioni ed enti locali. Pur essendo escissa, ho deciso di abbandonare questa pratica nociva perché non voglio che la subiscano le mie figlie. Io sono stata tagliata da neonata, avevo tre mesi di vita: all’epoca mia madre non poteva scegliere percéè nessuno osava mettere in discussione l’escissione: si doveva fare a tutte le bambine, e basta”.