Oggi un milione di lavoratori italiani sono vittime di mobbing

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Oggi un milione di lavoratori italiani sono vittime di mobbing

01 Giugno 2009

 

«Possiamo veramente diventare, a questo punto, un po’ cattivi con lei […] e le garantisco che quello che è accaduto fino ad adesso non è niente se lei non accetta queste dimissioni». Queste parole, liberamente estrapolate da un film diretto da Francesca Comencini e interpretato da Nicoletta Braschi (“Mi piace lavorare – Mobbing”), vengono usate dal direttore del personale per persuadere una lavoratrice a firmare la lettera di dimissioni, dopo essere stata già vittima di comportamenti violenti, volti ad ostracizzare, vessare ed emarginare la sua presenza in azienda.

Nel nostro Paese la realtà sostituisce la finzione filmica per almeno 1 milione di lavoratori italiani, costretti ad abbandonare di propria iniziativa il posto di lavoro, in quanto indotti da metodi poco ortodossi. Che sia un fenomeno di tipo orizzontale (mobbing in senso stretto, ossia tra gli stessi colleghi di lavoro) o verticale (in questo caso è più propriamente definito «bossing», ovvero quando il mobber è un capoufficio o un manager) il mobbing è caratterizzato da una serie di comportamenti frequenti, che spesso si qualificano come persecutori e che si riflettono sulla salute psicofisica del lavoratore; il mobbing non è sempre tracciato da atti illeciti, ma spesso si concretizza in comportamenti che di per sé indossano, almeno all’apparenza, la veste di liceità, in quanto è lo scopo perseguito ad essere illegittimo.

 

Salvatore, ingegnere informatico milanese di 64 anni, ha subito per 10 anni (dal 1999 fino all’anno scorso) «una condotta abituale, ripetuta e sistematica (secondo il pm Piero Basilone che conduce l’accusa contro l’AEM, azienda elettrica del capoluogo lombardo) di vessazioni, prevaricazioni e umiliazioni», verosimilmente al fine di ridurre il personale più anziano. Secondo l’accusa, l’ingegnere milanese sarebbe stato costretto a svolgere il proprio lavoro su un «piano isolato riservato a spogliatoi e refettorio», isolato e privato di alcun ausilio tecnico (come stampante, internet), tenendo conto per di più de «la pretesa vessatoria di risultati lavorativi in mancanza di risorse e supporti». Triste epilogo di questi 10 anni trascorsi a lavorare in condizioni umilianti sono stati i disturbi psichici riportati dal dipendente, a causa dello «stress da non lavoro».

 

I comportamenti indebiti possono altresì assumere una struttura frammentaria ed episodica o addirittura isolata (come nel caso dello «straining», che può consistere in una sola azione con effetti stressogeni, tuttavia, durevoli nel tempo), ma l’elemento di comunanza è la volontà (e quindi il dolo) di mettere il lavoratore nelle condizioni di rassegnare le proprie dimissioni. D’altra parte si può evincere la natura violenta del mobbing dall’etimologia stessa del termine: che, infatti, deriva dall’inglese “to mob” (= attaccare, assalire) ed è stato coniato dall’etologo Konrad Lorenz, per definire l’assalto collettivo di alcune anatre selvatiche nei confronti di un animale della stessa specie. Il primo, però, ad utilizzare il suddetto termine riferendosi all’ambiente lavorativo è stato lo psicologo Heinz Leymann, che ha definito il fenomeno in parola come «il terrore psicologico sul posto di lavoro […che] consiste in una comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrati in modo sistematico da uno o più persone principalmente contro un singolo individuo che viene per questo spinto in una difesa. Queste azioni sono effettuate con alta frequenza e per un lungo periodo di tempo ed a causa di ciò il mobbizzato subisce seri disagi psicologici-psicosomatici-sociali».

In molti casi la fattispecie del mobbing è difficile da provare in sede legale per la mancanza, per l’appunto, di elementi certi che confermino la veridicità dell’illecito perpetrato, esponendo il lavoratore mobbizato al rischio di vedere paralizzata l’efficacia probatoria delle proprie accuse. Un fenomeno del tutto sottovalutato in un recente passato e sminuito, talvolta, anche dagli stessi sindacalisti che in talune occasioni hanno valutato il disagio dei lavoratori come un’ordinaria situazione di incompatibilità caratteriale tra colleghi. La concezione di tale fenomeno è comunque cambiata negli ultimi anni, vista la formazione di centri antimobbing, la creazione di seminari e convegni incentrati sul tema. In tal modo i lavoratori hanno un’arma in più per potersi difendere da un fenomeno dilagante, che può provocare nei lavoratori mobbizzati gravi disagi, come disturbi di natura alimentare, perdita di autostima, graduale livellamento della capacità di relazionarsi, ansia, insonnia e depressione.

 Che sia un malcostume adottato da sempre nei luoghi di lavoro o una grave distorsione della modernità, il mobbing è senza ombra di dubbio una violenza morale diretta a mettere i lavoratori nelle condizioni di andarsene volontariamente, vendendo così la loro dignità a prezzo di mercato.