Olimpiadi ’08: cresce la tensione tra Cina e Giappone

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Olimpiadi ’08: cresce la tensione tra Cina e Giappone

26 Aprile 2008

Il clima di contestazione contro le Olimpiadi di Pechino 2008 che si respira da varie settimane in Europa e in America sembra essere giunto anche in Asia.

Il Comitato Olimpico Giapponese, impegnato nei febbrili preparativi per l’arrivo della fiaccola olimpica, ha subito un duro colpo. Il tempio Zenkoji, già luogo della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici Invernali nel 1996, ha infatti ritrattato la sua disponibilità ad essere luogo di partenza della fiaccola olimpica durante la tappa giapponese.

Questa decisione, presa a pochi giorni dall’arrivo della fiaccola in Giappone, ha profondamente scosso l’opinione pubblica ed in particolare gli organizzatori dell’evento, costretti a ricorrere ai ripari nel tempo più breve possibile. Questi, infatti, si sono trovati all’improvviso a dover mutare il luogo di partenza cercando, al contempo, di non deviare significativamente il percorso stabilito. Kenichi Chizuka, segretario generale del Comitato Olimpico Giapponese ha dichiarato, all’indomani della presa di decisione del tempio, d’essere rimasto scioccato dalla notizia, assolutamente certo che questo avesse ormai accettato il prestigioso ruolo assegnatogli.

A difesa del repentino rifiuto del tempio Zenkoji si deve però ricordare che l’incarico era stato preso a febbraio 2008, quando ancora non erano scoppiati i disordini in Tibet e non si prevedeva quindi alcuna protesta nei confronti della Cina. Le ragioni del diniego sono, infatti, da ricercarsi proprio nelle reazioni seguite alle cruente azioni militari cinesi nei confronti del Tibet. Secondo fonti vicine al tempio, pare che siano stati ricevuti numerosi messaggi di protesta (più di 200) che accusavano lo Zenkoji ed i monaci che lo dirigono, di non sostenere i tibetani e, in questo modo, di venir meno al loro compito di guide religiose.

In una conferenza stampa tenutasi venerdì scorso, giorno ufficiale della rinuncia, i monaci del tempio hanno ribadito che “In quanto luogo di Buddismo e religione, noi siamo tenuti a prendere in considerazione la violazione dei diritti umani da parte della Cina nei confronti del Tibet”.

La coerenza del gesto, che va ben oltre il semplice fanatismo della protesta a tutti i costi, è stata sostenuta dai più. Oltretutto, considerando l’alto valore artistico del tempio, annoverato tra i tesori nazionali e antichissimo luogo di culto (risalente al 642 d.c.), sarebbe probabilmente rischioso  per la struttura se le manifestazioni contro la Cina si rivelassero più violente del previsto.

Non mancano però anche coloro che biasimano il tempio Zenkoji per il suo rifiuto. Se non convince l’opposizione di chi dichiara d’essere contrario in quanto il tempio non è luogo d’appannaggio esclusivo d’una sola religione, ovvero quella buddista, ma sito in cui confluiscono più fedeli appartenenti a credi diversi – è chiaro come all’origine della repressione cinese vi sia ben poco di “religioso” – , fa invece riflettere il parere di chi teme che una protesta giapponese nei confronti della Cina possa peggiorare i già tesi rapporti tra i due paesi. Gli esperti temono, infatti, che la reazione cinese contro ipotetiche proteste giapponesi potrebbe essere enorme in confronto alle stesse contestazioni francesi o americane.