Olmert lascia, arriva Tzipi?
31 Luglio 2008
Agli israeliani Tzipi piace perché vuol fare pulizia, dare una bella ramazzata alle clientele e alla corruzione politica. E lei, senza peli sulla lingua, aveva già attaccato frontalmente il dimissionario Olmert, travolto dall’inchiesta giudiziaria che lo accusa di aver intascato oltre 150,000 dollari negli ultimi 15 anni (anche se l’ex premier si difende spiegando che erano solo contributi elettorali).
“È impossibile continuare su questa strada – ha detto Tzipi – dobbiamo rimettere mano alla nostra politica interna e questo processo richiede un nuovo primo ministro”. In molti pensano che possa essere proprio lei, dopo aver preso le redini di Kadima, s’intende. Le ragioni sono almeno tre.
La prima l’abbiamo appena spiegata. I giornali la chiamano “Mrs. Clean” per la sua integrità. Tzipi ama presentarsi come un’alternativa, onesta, integerrima, a un mondo di politici maschi che invece sembra più grigio e compromesso da piccoli e grandi scandali.
La seconda è la sua storia personale. Viene da una famiglia di combattenti nati. I suoi genitori erano militanti dell’Irgun, ai tempi in cui i coloni ebrei fronteggiavano gli inglesi nel “mandato” palestinese. Anche lei è stata sul campo, nonostante l’accusa più frequente dei suoi detrattori sia quella di non avere la necessaria esperienza militare per difendere il Paese (ma da questo punto di vista il governo Olmert non ha fatto scintille, se pensiamo alla guerra in Libano e a quanto si è rafforzato l’Hezbollah).
Nei primi anni Ottanta, Tzipi lavorava in Europa con il Mossad per dare la caccia ai terroristi palestinesi. È stata un ufficiale operativo dei servizi segreti israeliani; da quel che sappiamo non ha mai premuto il grilletto, ma pare che in azione non sfigurasse e che abbia contribuito a far beccare più di un nemico del suo Paese.
La terza ragione, la più importante, è che parliamo di un politico che sarebbe in grado di arrivare a una sintesi tra l’eredità di Sharon (Tzipi è stata una delle sue protegé) e la piattaforma programmatica dei laburisti più moderati – che poi è il senso di Kadima, un partito centrista che, almeno fino adesso, non ha raggiunto quel consenso cercato dal fondatore Sharon.
Tzipi ha preso le distanze dalle ultimissime giravolte diplomatiche di Olmert, condividendo solo in minima parte le aperture del governo israeliano verso la Siria (via Ankara): c’è tempo per “restituire” le Alture del Golan, visto che si tratta di territori che lo Stato di Israele ha occupato dopo la vittoriosa Guerra dei Sei Giorni, cioè dopo essere stato invaso dai Paesi arabi.
Come dire, le questioni di frontiera aperte con i Paesi vicini e con l’Autorità palestinese vanno discusse tenendo i nervi saldi e senza fare mosse false. “Alcuni ritengono che solo tornando ai confini del 1967 le cose potrebbero risolversi – ha scritto in un articolo apparso l’anno scorso sulla stampa araba – ma nel 1967 non esisteva uno stato palestinese, non c’erano collegamenti tra la West Bank e Gaza, e non c’era alcuna sicurezza. Il confine internazionale tra Israele e uno stato palestinese praticabile è un’idea nuova che non può essere imposta ma va negoziata d’accordo con la Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Credo che questi principi di base esprimano un interesse comune condiviso da tutti”. Vale anche per la Siria, quindi.
Tzipi sa che Israele dovrà proseguire la politica delle “dolorose concessioni”, ma senza ripetere la traumatizzante esperienza di Gaza, dove – dopo il ritiro unilaterale dei coloni israeliani – la situazione è andata progressivamente peggiorando. Concessioni sì, ma a patto che gli accordi rientrino nel quadro della “Road Map”, che gli attori in campo rispettino le indicazioni del “Quartetto”, che i Paesi arabi riconoscano lo Stato d’Israele e taglino i ponti con il terrorismo, magari sfruttando l’Iniziativa di pace araba: “La verità è che i popoli del Medio Oriente condividono lo stesso destino. Siamo destinati a essere vicini. Il nostro futuro è inevitabilmente collegato. E non avremo nessuna pace duratura se non metteremo prima di tutto in conto questo fatto”. Un falco dal cuore nobile?
Per lei l’unica soluzione del conflitto israelo-palestinese è quella di avere “due popoli e due stati”. Stati democratici, s’intende: “Il principio che entrambe gli stati devono vivere in pace e sicurezza è auto-evidente. Il futuro stato palestinese non può essere uno stato terrorista. Nessuna delle parti in causa può permetterselo, e non se lo può neppure permettere la regione”.
Vuole spronare la leadership palestinese a prendersi le sue responsabilità, così come ha fatto lo stato israeliano al momento della sua fondazione, quando la classe dirigente ebraica seppe dare delle risposte alle aspirazioni nazionali storiche del suo popolo, quello che oggi vive in Terra Santa, quello che vive altrove, quello che si è rifugiato in Israele scampando agli orrori dell’Olocausto e quello che è stato espulso dagli altri Paesi Arabi e da altre terre.
I leader palestinesi dovrebbero fare lo stesso, rispettare le rivendicazioni del loro popolo, quello che vive nella West Bank, a Gaza, nella Diaspora, nei campi per i rifugiati. I capi palestinesi devono offrire una risposta al diritto al “ritorno” dei profughi in Palestina – che “non può essere una parola vuota destinata a tenere acceso il conflitto”.
Normalizzare la situazione, quindi, ma senza farsi troppe illusioni: “I nemici della coesistenza, Hezbollah e Hamas – guidati dall’Iran –, faranno di tutto per sabotare ogni prospettiva di pace. Sono pronti a trasformare dei conflitti che sono politici e risolvibili in altri che sono religiosi e inconciliabili”. Nessun dialogo con i terroristi, visto che “non vogliamo controllare la vita dei palestinesi. I terroristi hanno preso di mira gli israeliani, e dobbiamo difenderci, ma hanno condotto anche la Palestina in una tragedia”.
Riuscirà a diventare l’erede di Golda Meir? Quoziente d’intelligenza 150, sposata con due figli, elegante, carismatica ma allergica alla politica-spettacolo, vegetariana e amica degli animali, con un curriculum lungo così (avvocato – dal 2001 ha guidato più di un ministero, compresi quello della giustizia e degli esteri), Tzipi sembra avere delle buone chance per conquistare la Knesset, anche se il primo passo è assumere la guida di Kadima.
In ogni caso parliamo di una donna con le idee chiare e che potrebbe fare solo del bene al suo Paese: “La ragion d’essere di Israele era, e rimane, quella di essere uno stato ebraico e democratico – facendo convivere questi valori in modo armonico e non contraddittorio. E sono proprio questi valori che ci hanno spinto ad abbracciare l’idea di due patrie, due nazioni – Israele e la Palestina – destinate a vivere fianco a fianco in pace e nella sicurezza”.