Oltre a non funzionare, la riforma del lavoro sta aggravando la situazione

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Oltre a non funzionare, la riforma del lavoro sta aggravando la situazione

18 Ottobre 2012

Due mega-interviste nel giro di una settimana. Il 16 ottobre due intere paginate del Sole24Ore con relativa apertura di quotidiano; altre quattro pagine e la copertina sull’ultimo numero di Panorama appena andato in edicola (n. 44 del 24 ottobre). Elsa Fornero, ministro del Lavoro, negli ultimi giorni è letteralmente imperversata, quanto a comunicazione: indice di popolarità in caduta o, più semplicemente, un capriccio di protagonismo? Forse la verità è un’altra (o entrambe le precedenti): la riforma del lavoro non funziona e quella delle pensioni è rimasta indigesta a molti. Perciò il ministro prova ad arginare i contraccolpi, tentando – giustamente – di difendere le sue idee divenute disposizioni normative.

Ma se sulle pensioni le responsabilità tecniche – e il ministro è un tecnico – possono prevalere sui punti di vista (questione esodati, problema delle ricongiunzioni, poca gradualità nell’inasprimento dei requisiti pensionistici, ecc.), sul mercato del lavoro non c’è scusa che tenga. Nulla discolpa la reintroduzione di una regolamentazione asfissiante dei contratti di lavoro con relativo incremento del costo del lavoro e l’aggravante di averlo fatto nel durante di una grave crisi economica. Ne sono prova schiacciate i numeri: il tasso di disoccupazione al 10,7% e l’atroce numerosità dei giovani 15-24enni senza lavoro, ormai alla vetta del 34,5% con punte oltre il 50% nei territori del Mezzogiorno (Istat, dati relativi ad agosto 2012).

La riforma del lavoro, appare dunque evidente, non funziona; e forse sta peggiorando la situazione. La Fornero sembra esserne consapevole. Nel rinviare a un futuro monitoraggio “scientifico”, infatti, spiega di avere, dai dati sulle comunicazioni di lavoro, “indicazioni su un aumento di licenziamenti, anche se sono mere indicazioni su cui si riesce a derivare causalità nell’immediato”. Insomma, ciò significa che la sua riforma non c’entra. Quindi, anziché aprirsi immediatamente a un confronto sul necessario ripensamento delle nuove norme (e di quelle mai introdotte) – peraltro già ritoccate – sembra chiudersi a riccio in difesa delle sue decisioni, trincerandosi dietro l’annuncio di attività di monitoraggio nella condivisa consapevolezza “che le riforme non nascono perfette”. E da un mese, spiega, di stare lavorando “per lanciare un metodo per conoscere dati e metterli a disposizione di tutti. Ma che sia un metodo scientifico, per cambiare le cose che non vanno”.

Più di tutto dispiace e scoraggia leggere il proprio ministro del Lavoro quando afferma: la riforma “non è una riforma per combattere la recessione, obiettivo per il quale servono altre politiche, ma per agganciare saldamente la ripresa non appena si presenterà”. Come dire a un padre di famiglia che ha perso il lavoro: “Arrangiati, ché c’è la crisi! Quando passerà, poi si vedrà!”. Affermazioni del genere, più che la fiducia mortificano la speranza. E oggi i giovani (e non solo i giovani) hanno bisogno di tantissima speranza per aver fiducia in chi li governa e amministra a tutti i livelli, da quello territoriale a quello statale. Quali politiche servono per combattere la recessione? Non sono forse quelle che da oltre un anno stiamo subendo, dall’inasprimento dell’Irpef all’Iva? E se abbiamo bisogno di altre politiche – ripeto: quali? – perché mai, allora, non entrano in agenda governativa e vengono attuate?

D’accordo sono solo interviste non dichiarazioni ufficiali di Governo; ma preoccupano ugualmente. Mi sarò sbagliato o perso qualche passaggio, ma ho sempre creduto che principale mission del Governo tecnico dovesse essere quella di spronare la ripresa e non di mortificarla, di favorire le condizioni per investire in Italia e incoraggiare le imprese a produrre e assumere e non di stare alla finestra ad aspettare di “agganciarsi ad una ripresa non appena si presenterà”! Il Governo tecnico non doveva forse portarci fuori dalla bufera dell’instabilità e della scarsa credibilità della firma sovrana? Il Governo tecnico non aveva forse il dovere di onorare l’impegno del precedente premier Berlusconi sull’approvazione di misure per favorire l’occupazione giovanile e femminile, nonché dell’introduzione di riforme funzionali alla maggiore propensione ad assumere e alle esigenze di efficienza delle imprese? Evidentemente, mi sarò sbagliato e, come me, si saranno illusi i tantissimi italiani, giovani e meno giovani, che arrancano sul domani.