Oltre il berlusconismo ci sono solo le urne

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Oltre il berlusconismo ci sono solo le urne

07 Novembre 2011

C’è un governo e c’è un programma. Il governo è quello guidato da Silvio Berlusconi in seguito alle elezioni del 13 e 14 aprile del 2008 e la sua scadenza naturale arriva nella primavera del 2013. Il programma nasce dal combinato disposto tra la lettera della Bce dello scorso 5 agosto e la lettera inviata al governo all’Unione Europea del 26 ottobre. Non ci sarebbe molto altro da aggiungere.

C’è un governo che si è impegnato a realizzare le riforme strutturali e le misure economiche ritenute necessarie per contrastare la crisi del debito sovrano italiano e contribuire a riportare la fiducia dei mercati verso l’Euro. C’è un programma che nelle sue linee generali è ormai noto e che a parte le inevitabili resistenze sindacali – suscitate più dalla vulgata giornalistica dei "licenziamenti facili" che da obiezioni di merito – risulta essere, sulla carta, ampiamente condiviso. E c’è una tabella di marcia molto serrata che se trova in Parlamento il necessario sostegno può portare alla fine della legislatura alla completa approvazione del pacchetto "anti-crisi".

Sarebbe, in questo contesto, perfettamente lecito aspettarsi che le opposizioni deponessero le armi – anzi l’arma, l’unica incessantemente brandita sino ad oggi, quella delle dimissioni – per consentire un passaggio parlamentare rapido e ovunque possibile concorde delle misure richieste. Non diversamente da quello che accade in Spagna dove l’opposizione del Ppe di Rajoy ha spalleggiato il governo Zapatero in molti dei suoi più drammatici provvedimenti.

In Italia però questo non sembra possibile. Dopo aver applaudito per due anni filati alla campagna mediatico-giudiziaria che ha fatto di Berlusconi e della sua vita privata lo zimbello del mondo, ora le opposizioni si trovano nell’impossibilità di mettere la loro firma e la loro faccia sul programma del Caimano. Cosi sono bloccate al punto di partenza da cui non si sono mai mosse: passo indietro, dimissioni!

Cosi anche quando sarebbe in gioco la salvezza del Paese da un destino ”greco" la posta in gioco è solo e sempre la testa di Berlusconi. Tanto che per salvarsi dall’imbarazzo di votare contro le misure "europee", le opposizioni pensano di far cadere il governo con una mozione di sfiducia ad personam.

Non c’è alle viste nell’opposizione una presa di responsabilità, non c’è l’evidenza di una alternativa di programmi o di contenuti, non c’è l’indicazione di una strada diversa da percorrere e, su molte delle cose che andrebbero comunque fatte, non c’è l’ombra di una vera condivisione.

Per questo se Berlusconi fosse sconfitto in Parlamento non ci sarebbe alternativa che le elezioni. Non quella ribaltonistica che porterebbe il Paese a subire uno stress democratico intollerabile e non quella tecnica, perché di tecnico ormai c’è ben poco da mettere in chiaro e nella storia d’Italia i governi tecnici hanno prodotto più guai di quanti ne abbiano risolti. C’è semmai la necessità di salvare la politica, quella con la P maiuscola, dallo stremo e dal discredito in cui è ridotta e questa forse è l’ultima occasione. E la politica ha solo due strade: affermarsi in Parlamento o cercare nuova legittimità nelle urne. (tratto da l’Unità)