Ombrina Mare, non fidiamoci troppo dell’IPCC

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Ombrina Mare, non fidiamoci troppo dell’IPCC

23 Aprile 2013

Casalbordino è un comune abruzzese. All’inizio di Aprile, l’amministrazione guidata dal sindaco Remo Bello ha approvato la delibera contro Ombrina Mare, il controverso impianto petrolifero che dovrebbe sorgere a poche miglia di distanza dalla costa chietina. L’amministrazione comunale è stata molto chiara e netta nel contrastare la trasformazione del territorio abruzzese in un distretto minerario e nel difendere l’economia a trazione turistica del Comune vicino alla costa dei Trabocchi.

La decisione del Comune è frutto di quel particolarismo municipalistico – da intendersi come una tutela irrinunciabile del patrimonio naturalistico locale – che in Abruzzo oggi entra in contraddizione con l’indirizzo politico-economico generale espresso dal governo centrale. Nell’ottobre del 2012, infatti, l’esecutivo di Mario Monti aveva varato il piano energetico nazionale individuando proprio nell’Abruzzo uno dei territori da destinare allo sfruttamento degli idrocarburi e alle conseguenti royalties incassate dallo Stato e dalla Regione – teniamo presente che l’Abruzzo oggi è tra quelle che ne ottengono meno rispetto ad altri distretti minerari in Italia.

Il sindaco di Casalbordino però non è rimasto isolato nella battaglia contro le estrazioni petrolifere, può contare sulla legislazione e l’orientamento dell’attuale governo regionale che si è espresso contro la realizzazione del nuovo impianto, sui movimenti e l’associazionismo, sulla legge del 2001 posta a tutela delle aree protette del Parco della Costa Teatina. In mezzo ci sono anche due valutazioni della Commissione Tecnica di verifica dell’impatto ambientale che nel 2010 aveva bocciato il progetto Ombrina e nel 2013 invece torna sui suoi passi dicendo che ora c’è compatibilità. Siamo quindi davanti a uno scontro tra interesse locale e nazionale complicato da passaggi burocratici, tecnici e legislativi che allungano i processi decisionali lasciando irrisolte le cose per anni.

Da una parte le comunità si stringono attorno ai propri amministratori contrari alla realizzazione dell’impianto (le contestazioni contro l’industria petrolifera sulla costa e nell’entroterra abruzzese vanno avanti dal 2007), dall’altra il governo centrale non rinuncia al suo Piano energetico a sostegno dello sfruttamento delle risorse nazionali e quindi di un maggiore risparmio sulla bolletta. L’unica alternativa a questa contrapposizione sarebbe il confronto tra le parti, un dialogo serio e certo che coinvolga la politica trovando una soluzione allo stallo.

In Italia purtroppo mancano organismi come capaci di gestire e costruire il consenso sulle scelte di interesse nazionale, che diano spazio alle legittime rivendicazioni dei cittadini e alle richieste delle comunità ma sempre con l’obiettivo di arrivare a una sintesi sui progetti di sviluppo. Camere di compensazione come questa potrebbero favorire una discussione più equilibrata sulle grandi questioni legate allo sviluppo economico e alla tutela della salute e dell’ambiente.

Prendiamo per esempio il capitolo dell’inquinamento atmosferico. Chi governa Casalbordino pensa che l’impianto Ombrina Mare avrebbe ricadute negative sulla emissione di gas-alteranti, assumendo a ‘nume tutelare’ di questa affermazione l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il celebre organismo delle Nazioni Unite che prevede un futuro del nostro sistema naturale compromesso dallo sfruttamento umano delle risorse tradizionali, come le fonti fossili. In realtà l’IPCC ha una travagliata storia di legittimazione scientifica alle spalle, alcuni scandali seppelliti frettolosamente negli anni, e dei modelli previsionali che periodicamente sono stati contraddetti dai fatti.

Non sono pochi gli scienziati che hanno contestato il metodo “non-peer-review” dell’ente "onusiano", quei proclami minacciosi sullo scongelamento dei ghiacciai himalaiani che si sono rivelati apocalittici prima ancora che irrealistici. Che le “cause antropogeniche” siano in larga parte responsabili del “global warming” non è più una certezza così incrollabile della comunità scientifica, si guardi per esempio alla “Oregon Petition” ma anche a tanti scienziati – pur convinti della pericolosità dei gas serra – che hanno prudentemente iniziato a verificare le loro tesi dopo anni di contrapposizioni e scontri con i cosiddetti “negazionisti”. Alcuni di questi studiosi hanno scelto saggiamente di non rinchiudersi in una fortezza mentale, esercitandosi al dubbio, che poi è l’atteggiamento della scienza.

Bisognerebbe chiedersi allora quale sia il “grado di certezza” che le organizzazioni internazionali come l’IPCC sono in grado di comunicare ai policy-maker locali, in un’epoca dove il paradigma scientifico sembra orientarsi al contrario verso l’incertezza delle definizioni. La decisione del comune abruzzese di contrastare la realizzazione nuove estrazioni petrolifere rischia di essere influenzata dai modelli rigidi e assertivi come quelli proposti dall’IPCC?

L’incertezza scientifica in realtà non dovrebbe essere percepita come una minaccia dai politici e dalla opinione pubblica, se mai come una ulteriore spinta al confronto e alla ricerca di soluzioni condivise. In una società complessa come la nostra, gli amministratori pubblici  e i cittadini si troveranno sempre più spesso dinanzi a decisioni da prendere sulla base di informazioni scientifiche parziali e contrastanti anche se non dovrebbero cadere in una rappresentazione manichea dello sviluppo.

Oggi invece si tende a separare in modo essenzialistico i “beni comuni”, per esempio identificati aprioristicamente nelle rinnovabili, dal “male assoluto”, petrolio e idrocarburi, giudicati il retaggio di un mondo al tramonto (che non lo è). Si può e si deve discutere dei rapporti tra industria e turismo ma l’eccesso di zelo ambientale, la denuncia dell’inquinamento atmosferico fondata su una malintesa idea scientifica di sicurezza che fa rima con incertezza, impediscono la democratizzazione delle scelte energetiche di interesse nazionale come pure la ricerca di un consenso possibile tra Stato, imprese, enti locali, popolazioni.