Onorare la memoria di Borsellino significa tener viva la lotta alle mafie
19 Luglio 2011
di Anna Bruno*
Oggi, a distanza di ben diciannove anni dalla morte di Paolo Borsellino, è necessaria una riflessione sul messaggio che ci ha lasciato e su ciò che da allora è cambiato, o meglio, su ciò che è ancora uguale e che pare non cambiare mai, nonostante l’evoluzione della società, dell’economia e della cultura.
Borsellino ci ha lasciato un esempio di vita riassunto in quei principi e valori di cui si è fatto portatore sino all’ultimo e sino al più estremo dei sacrifici: il rispetto per le istituzioni, come anche il senso dello Stato e del dovere al di sopra di tutto, anche della propria famiglia e della propria vita. Il suo pensiero si può cogliere appieno nelle parole pronunciate durante l’ultima intervista televisiva rilasciata prima della morte. Era inizio luglio del ’92, poco prima della strage di Via d’Amelio di cui sarebbe rimasto vittima, e Borsellino spiegava così all’allora giornalista del Tg5 Lamberto Sposini il suo stato d’animo: "Io accetto la… ho sempre accettato il… più che il rischio, la… condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. Il… la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in… in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare… dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro".
Parole che, rilette a posteriori, lasciano ancora più amarezza e ci ricordano quanto sia importante tutelare chiunque metta la propria vita a servizio dello Stato. Può non bastare, come purtroppo è successo in questo e in molti altri casi, ma permette a questi eroi di non sentirsi abbandonati di fronte a una sfida che combattono in prima persona a beneficio dell’intera collettività. Una tale dedizione alla cosa pubblica, insomma, merita – è bene ribadirlo – uno Stato che non abbandona, uno Stato riconoscente e presente, capace di difendere oltre che difendersi.
Oltretutto, se è vero che eroi come Paolo Borsellino nascono raramente, è pur vero che ogni giorno, a Napoli così come altrove, persone comuni, piccoli e medi imprenditori, commercianti ed artigiani scelgono di assumersi la responsabilità dei pericoli e, senza lasciarsi intimidire, combattono l’anti-Stato, si oppongono con forza alla criminalità organizzata, si rifiutano di sottostare a qualunque forma di estorsione. La loro lotta deve essere la nostra lotta, quella che dovrebbe accomunare cittadini, amministratori locali e Stato. Solo così si onora il passato, si difende il presente e si migliora il futuro.