Ora è la legge elettorale a mettere a dura prova il governo
12 Dicembre 2007
Quello che non è riuscito a Berlusconi al Senato, potrebbe
riuscire alla legge elettorale. Ieri così a Palazzo Madama alcuni senatori
della maggioranza commentavano la bozza di legge elettorale proposta dal
presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, Enzo Bianco. In
realtà già da un anno molti ripetevano che la questione elettorale, con annesso
tema referendum, avrebbe messo a dura prova il governo e prima ancora lo stesso
centrosinistra. Se poi a questo si aggiungono i tentativi di Veltroni su
un’intesa con il centrodestra per la riforma della legge elettorale, si
comprende come la situazione possa diventare delicata. Lo sa benissimo Romano
Prodi che non fa passare giorno per tenere la rotta del governo lontano dalle
secche elettorali. Alternando il ruolo di pompiere, per spegnere le polemiche, a
quello di incursore rintuzzando gli affondi. Come ieri.
Non sono piaciute le
reazioni veltroniane al testo presentato da Bianco. Non tanto i lusinghieri
commenti: “Va nella giusta direzione”, “E’ una buona base di partenza, che noi
condividiamo”. Piuttosto il passaggio sulla verifica di gennaio e sui rapporti
interni alla maggioranza. Quasi uno sfogo a microfoni aperti che ha assunto il
sapore della sfida: “In questi giorni ho letto cose sguaiate: inciuci, legge
truffa… faccio finta di niente ma a nessuno è consentito dire o così o niente
perché così non si discute e il rischio è che alla fine non ci sia niente”. E
concludendo il suo pensiero: “Se si svolgerà un vertice di maggioranza, esso dovrà vertere non solo sulla legge
elettorale ma sul tema più generale del sostegno all’azione di governo”.
Parole che non potevano non destare la preoccupazione di Palazzo Chigi
imponendo una doppia strategia: stop alle polemiche interne e contenimento
dell’offensiva veltroniana. Il tutto condito dal tentativo di ridimensionare ad
un semplice “fermento” quella che invece è una vera e propria lotta intestina.
Da qui la considerazione che “quando si arriverà ad una condivisione ampia ci
sarà un confronto nella maggioranza a cui prenderà parte anche Romano Prodi”. Con
un monito: “E’ importante che le critiche abbiano una sintesi in positivo e non
in negativo. Il fatto che si parli di riforme è sempre positivo e importante,
ma vanno visti tutti i contributi e sondate tutte le posizioni”. E per finire
la stoccata a Veltroni: “Abbiamo detto già venti giorni fa che a gennaio si farà
un punto complessivo sul rilancio del governo e delle sue politiche. Le cose
dunque collimano”. Replica secca che se serve a far capire a Veltroni che non
può giocare in solitaria la partita e nemmeno dettare l’agenda politica del
governo, dall’altro lato non dirada le polemiche che nel centrosinistra sono a
livelli di guardia. Ad essere in fibrillazione sono in particolare i piccoli
partiti come l’Udeur di Clemente Mastella i quali temono una riforma elettorale
possa metterli fuori gioco.
Questo spiega i toni duri ed aspri che ieri ha
usato il leader del Campanile che ha parlato apertamente di uscire dalla
maggioranza. “Non posso tenere in piedi un governo in cui ci sono quelli che mi vogliono uccidere”,
così ieri ripeteva il guardasigilli, aggiungendo che “mi aspetto una battaglia molto dura e aspra, dove tutto può accadere: se
non va come deve andare, noi non saremo più alleati di questi alleati”. Ed
anche dalle parti della sinistra radicale le acque sono agitate. Qui
Rifondazione Comunista sarebbe tentata dal modello Bianco che oltre a prevedere
l’assegnazione dei seggi per metà con il proporzionale e metà con il maggioritario
impone soglie di sbarramento al 7 per cento a livello nazionale ed al 5 a
livello locale. Meccanismi che calzerebbero perfettamente per i rifondaroli
garantendogli, inoltre, una decisa supremazia all’interno della cosa rossa. Ragionamento
che però si scontra con l’opposizione di Oliverio Diliberto, che non ci sta a
consegnarsi mani e piedi a Rifondazione e con la difficoltà di giustificare un
eventuale accordo a tre con Pd-Fi. Ed
infatti la polemica innescata dallo stesso Diliberto contro il segretario
Giordano, “Spiace che a solo un giorno di distanza dalla conclusione
dell’assemblea generale della sinistra Rifondazione Comunista si accinga già a
rompere l’unità”, è il segnale di una crisi profonda.
Crisi che potrebbe,
allora, allargarsi a tutto il centrosinistra. Per questo a Palazzo Chigi
monitorano costantemente la situazione avendo una certezza: a gennaio si farà
sul serio e da lì si capirà chi nel centrosinistra è pronto a sacrificare il
governo per i propri interessi elettorali.