Ora gli afghani smentiscono la “confessione” dei tre di Emergency
12 Aprile 2010
Gino Strada ha ragione: in Afghanistan qualcosa non torna. La situazione è ancora molto confusa, le notizie si sovrappongono. Quello che sappiamo per certo, come spiega il comunicato stampa redatto da Emergency sabato 10 aprile, è che “oggi pomeriggio uomini della polizia e dei servizi segreti afgani hanno fatto irruzione nel Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah, nella provincia meridionale di Helmand. Tre dei nostri operatori, cittadini italiani, sono stati prelevati attorno alle 16.30, ora afgana”. L’accusa rivolta ai volontari italiani è quella di aver ordito un complotto per uccidere il governatore della provincia di Helmand, Gulab Mangal, nascondendo in ospedale sette giubbotti esplosivi, bombe a mano, armi e munizioni che gli uomini della Onlus avrebbero consegnato a breve a un gruppo di talebani pronti a farsi esplodere. Un’ipotesi “francamente ridicola”, secondo Emergency: “Qualcuno mi convinca che ci sono medici italiani che rischiano la vita per anni in zone di guerra e poi si inventano un attentato contro il neogovernatore della regione – ha dichiarato Strada in un’intervista a “La Stampa” – ma per favore…”.
L’accusa, effettivamente, ha del grottesco, anche perché nella giornata di ieri se n’è aggiunta un’altra, ancora tutta da verificare. Secondo le autorità afghane, i tre di Emergency sarebbero anche implicati nell’omidicio dell’interprete di Daniele Mastrogiacomo, il giornalista di Repubblica rapito a Kabul nel 2007. Adjmal Nashkbandi, rilasciato insieme a Mastrogiacomo, venne risequestrato e ucciso dai Talebani. Secondo il Times, proprio le "pressioni del governo italiano" avrebbero bloccato le indagini sugli uomini di Emergency nel mirino delle autorità afghane. Accuse che non vanno sottovalutate: in quanto “combattenti rivoltosi stranieri”, spiega l’Ansa, la condanna prevista per i sospetti sarebbe la pena di morte. In manette – insieme ad altri 6 dipendenti afgani – sono finiti il coordinatore medico Matteo Dell’Aira, il chirurgo d’urgenza Marco Garatti – un veterano, critico sulle politiche della Nato in Afghanistan – e il tecnico della logistica Matteo Pagani. Tutti e tre lavoravano nell’ospedale Tiziano Terzani di Lashkar-gah, inaugurato nel 2004: la struttura, che dispone di 70 posti letto e 3 sale operatorie, ed è un centro importante tanto per le visite ordinarie quanto per le operazioni d’urgenza.
Fonti afghane hanno prima affermato che gli italiani avrebbero "confessato" il loro ruolo nel complotto per uccidere il governatore, ma è di poche ore fa la notizia che l’inchiesta è ancora in corso: "Le indagini continuano – ha detto il portavoce del ministero dell’interno di Kabul – per il momento non si può fare nessuna ipotesi sugli sviluppi". Una retromarcia sembra anche quella del portavoce del governo provinciale dell’Helmand, Dahoud Ahmadi, una delle fonti citate dal Times: "Non ho mai accusato gli italiani di Emergency di essere in combutta con al Qaeda – ha precisato Ahmadi raggiunto dal Giornale – ho solo detto che Marco Garatti stava collaborando e rispondendo alle domande". Il ministro Frattini ha commentato che le accuse "sono tutte da verificare" e ha ammesso di "pregare con tutto il cuore che non siano vere". Secondo il ministro della Difesa La Russa, Strada farebbe meglio "a prendere le distanze dai suoi collaboratori. Può sempre succedere di avere accanto, inconsapevolmente, degli infiltrati. Nel passato è accaduto tante volte. E’ successo al Pci con le BR e all’MSI con i Nar". Secca la risposta di Strada: "Un parlamentare non può lanciare impunemente queste accuse ridicole".
A complicare ulteriormente la situazione, è intervenuto poi lo scontro tra l’Isaf – secondo la quale, spiega il generale Eric Trembley, l’operazione d’arresto “è stata realizzata dalle forze di sicurezza afgane” – e la stessa Emergency: “C’è un video – ha detto Gino Strada in conferenza stampa – che mostra i soldati britannici, non solo fuori dall’ospedale per un cordone di protezione ma anche all’interno”. Il video, effettivamente, parla chiaro: secondo l’Ansa, che cita “qualificate fonti italiane”, l’arresto sarebbe stato “eseguito esclusivamente dagli afgani”, ma “con il supporto della Task Force Helmand – Usa dell’Isaf”
Con tre cittadini italiani in stato di fermo in un paese complicato come l’Afghanistan, la prudenza è d’obbligo. È per questo che alcune dichiarazioni rese da Gino Strada suonano stonate: “Ce l’ho ovviamente con quel governo (afgano, ndr) sostenuto pure dall’Italia. Ma pure con le forze militari occidentali dell’Isaf che hanno partecipato a questa manovra contro di noi. Mi sembra chiaro che stanno tutti cooperando per mandarci via. Vogliono che ce ne andiamo. Vogliono che Emergency si levi di mezzo”. Qui non è in discussione il contenuto delle dichiarazioni di Strada, quanto il rischio di gettare benzina sul fuoco: ai consueti “scontri” tra Emergency e il governo di Karzai, infatti, bisogna sommare le crescenti tensioni tra il presidente afgano e la Nato, oltre che le manifestazioni organizzate dalle tribù della provincia per chiedere la chiusura dell’ospedale di Strada. E proprio perché “Emergency è una struttura neutrale: non abbiamo armi, curiamo chiunque ne abbia bisogno senza guardare in faccia nessuno”, sarebbe bene mantenere un basso profilo per risolvere al più presto la situazione e giungere per vie diplomatica al rilascio dei tre italiani e dei sei afgani arrestati.
Impropria, in questo senso, suona anche l’accusa al ministero degli Esteri italiano. In un comunicato, la Farnesina spiega che “il ministro Frattini sta seguendo gli sviluppi della vicenda in stretto raccordo con l’ambasciata d’Italia a Kabul e con le autorità locali”, salvo poi ricordare “che i medici italiani in stato di fermo lavoravano in una struttura umanitaria non riconducibile alle attività finanziate dalla cooperazione italiana”. Della sua indipendenza, del resto, Emergency è sempre andata (giustamente) orgogliosa. Secondo Strada, però, “la Farnesina non può tirarsi fuori” e il ministero deve intervenire per far “immediatamente rilasciare i nostri operatori”. Vero, peccato però che quelle accuse suonino però preventive. Ieri mattina, infatti, l’ambasciatore italiano a Kabul Claudio Glaentzer ha incontrato i tre fermati, e Frattini ha parlato direttamente con Strada. Dichiarare a un giornale nazionale che “il governo italiano in Afghanistan conta come il due di picche quando la briscola è fiori”, come ha fatto il fondatore di Emergency, rischia di complicare un delicato lavoro diplomatico che – in situazioni simili – ha avuto successo lontano dai clamori. Sul ruolo “scomodo” di Emergency in Afghanistan ci sarà ancora modo di discutere, ma per il bene dei volontari arrestati (e degli altri operatori dell’organizzazione) è bene non alzare troppo i toni.