Ora il Cav. faccia il premier

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Ora il Cav. faccia il premier

05 Maggio 2011

Il cerchio si è chiuso. Ci sono voluti dieci lunghissimi mesi per capire e verificare se la nave del Cav. avrebbe potuto reggere alla “tempesta perfetta”. Dalla bocciatura del Lodo Alfano al ‘che fai mi cacci?’ di Fini con tutto quello che ne è seguito, dalla battaglia sulla giustizia fuori e dentro il parlamento, alla sequela di sfiducie, dai processi ad personam (Rubygate docet) fino all’ultimo scossone di Bossi sulla guerra in Libia: per grandi tappe, le forche caudine dalle quali il premier e con lui la maggioranza sono dovuti passare. Adesso, sistemata la pratica rimpasto coi Responsabili ‘responsabilizzati’ (nove sottosegretari nuovi di zecca, tutti ex Pd, Mpa e Fli), è il momento di agire.

Addirittura Berlusconi si è portato avanti ipotizzando per la successione a Berlusconi due cavalli di razza come Alfano e Tremonti nel grande recinto dei purosangue in odore di promozione. Bene, adesso sappiamo perfino questo. Sembra dunque che tutto sia tornato a posto, che la “tempesta perfetta” nella quale gli elementi della natura e della politica che guarda all’avversario come a un nemico si sono scatenati puntando il mirino sul Cav.,  sia ormai derubricata ad acquazzone primaverile, ecco proprio ora è il momento di riprendere in mano l’agenda di governo, senza ulteriori indugi. E’ il tempo di tornare a fare ciò che in tutti questi mesi è stato rallentato, rinviato, discusso all’infinito, mediato, avviato e poi sospeso e poi ancora cancellato – il dossier nucleare ad esempio – per riprendere il tratto e il passo di un esecutivo eletto per modernizzare il Paese.

Non c’è dubbio che fin qui molte cose siano state realizzate e tradotte in leggi: dalla riforma della scuola e dell’Università, alla legge di stabilità, dalla riforma della pubblica amministrazione avviata da Brunetta passando per i provvedimenti su lavoro (la riforma dell’apprendistato voluta da Sacconi è fresca di approvazione) e sull’economia, col varo proprio ieri in Consiglio dei ministri del decreto legge Sviluppo firmato da Tremonti. E tuttavia non basta, non può bastare per rimettere in piedi un paese che ha resistito bene e molto meglio di altri allo tsunami della crisi economica internazionale, che grazie a questo governo è riuscito a tenere sotto controllo il debito pubblico e in ordine i conti dello Stato con l’ambizione di puntare al pareggio di bilancio nel 2014 (seppure passando da un’altra manovra ‘lacrime e sangue’).

Se non siamo come la Grecia, come l’Irlanda o sul crinale dove stanno in bilico Portogallo e Spagna, lo dobbiamo senza dubbio al rigore di una politica economica che ben poco ha concesso alla spesa pubblica ma molto ha prodotto per tenere l’Italia ben ancorata al gruppo di testa dei paesi industrializzati. E non è un caso che dall’Europa ricordino che l’Italia è ancora oggi, tra i paesi più affidabili perché ha un reddito pro-capite che non è stato eroso dagli effetti della crisi.

Bene, benissimo. E’ un motivo di vanto per l’Italia anche se l’opposizione fa finta di non vedere perché accecata dall’antiberlusconismo, un’ossessione che finirà per dilaniarla. Bene, benissimo anche se il terzo polo, quello di Fini, Casini e Rutelli sale in cattedra e dà lezioni di bon ton istituzionale e diffonde il verbo della legalità, anziché fare quadrato con la maggioranza sui temi chiave per lo sviluppo del paese e per il suo ruolo nella comunità internazionale.

Detto questo, di cose da fare ce ne sono ancora molte, da qui al 2013. Nella maggioranza c’è contezza di tutto ciò, il premier lo va ripetendo quasi ogni giorno tracciando la road map della legislatura. Bene, benissimo: ora servono i fatti. Non molti per la verità, ma due cose fondamentali non possono più aspettare, tantomeno finire nel mixer degli stop and go. E serve metterci mano da subito con norme, leggi, provvedimenti discussi e approvati in Parlamento, ora che la maggioranza è più larga di quella del 2008, ora che i numeri ci sono e continueranno ad aumentare se, come annuncia il Cav., altri parlamentari sono pronti a cambiare campo. 

Le cose che servono, non a Berlusconi ma al paese, si chiamano riforma costituzionale della giustizia e riforma del fisco. Nel primo caso se c’è la volontà – come pare esserci -, due anni sono più che sufficienti per revisionare un sistema giudiziario che procede a passo di lumaca, e un ordinamento giudiziario dove per molto tempo (e questi ultimi diciassette anni lo dimostrano) certa magistratura politicizzata ha sconfinato nel campo della politica tentando di sostituirsi al ruolo del parlamento che – è sempre bene ricordarlo – esprime la sovranità popolare. Il conflitto tra giustizia e politica è uno dei mali di questo paese che attende una cura efficace, un’anomalia che va superata, un freno micidiale alla realizzazione di una democrazia compiuta.

La riforma del fisco è l’altro grande tema: certo non è facile conciliare l’obiettivo dell’abbattimento delle tasse che il governo si è dato con la situazione attuale e questo è un dato di fatto, ma è pur vero che famiglie e imprese aspettano questo provvedimento come la manna per tirare una boccata di ossigeno. E prima si inizia, meglio è. Non solo: portare a termine una riforma del genere è la mission di un governo liberale che vuole modernizzare il paese, rimetterlo in pista, alleggerirlo del peso burocratico che da decenni si trascina dietro con tutti gli effetti e le conseguenze che condizionano la vita quotidiana di ciascuno di noi. E’ il tratto distintivo di un governo del fare, quello opposto al governo degli annunci o della demagogia venduta un tanto al chilo. E’ la grande opera incompiuta del Cav., da diciassette anni a questa parte.

Adesso non c’è neppure più la scusa di Fini che rema contro. Il progetto politico del presidente della Camera in questi mesi ha dimostrato tutta la sua fragilità. Gianfranco Fini ha certamente rallentato l’agenda di governo, i provvedimenti messi in cantiere a inizio legislatura, lanciando una guerriglia prima interna (nel Pdl) poi esterna contro il Cav. Ma alla fine ha perso. Ha perso il 14 dicembre in parlamento con la mozione di sfiducia, ha perso per strada una decina di parlamentari e assistito al dissolvimento di un intero gruppo al Senato, e oggi è costretto a mettersi al traino di Casini per restare a galla. Perfino in queste amministrative che dovevano misurare la forza di Fli e che i colonnelli finiani pubblicizzavano come l’avanzata del nuovo centrodestra sul Pdl, il presidente della Camera ha deciso di ritirare il nome dal simbolo del suo partito, rinviando alle politiche l’impegno a metterci la faccia. Se Fini dunque non è più un ‘problema’, per la maggioranza non può più essere nemmeno un alibi o un ‘mantra’ da recitare nei talk televisivi. Ora è necessario andare avanti.

Riuscirà questo governo nell’impresa? Le condizioni ci sono e noi ce lo auguriamo. Perché il paese ha bisogno di crescere, perché  il 2013 è ormai dietro l’angolo e tra una settimana i risultati delle amministrative daranno i primi exit poll.