Ora la Francia punta alla Siria

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Ora la Francia punta alla Siria

25 Marzo 2011

Il ministro degli esteri francese Juppè ci va giù pesante. E’ convinto che i regimi arabi non possano fronteggiare con la forza le rivoluzioni popolari e che debbano aprirsi al dialogo e alle riforme. Con la Libia è stato lanciato un messaggio. Gli europei, spalleggiati dagli americani, sono in grado di intervenire nel mondo musulmano. La Siria di al Assad è la prossima della lista.

Si potrà dire che è solo retorica, una "narrazione democratica" che si scontra con l’incertezza e l’ignoranza che abbiamo rispetto ai nostri interlocutori, "i ribelli di Bengasi" come quelli dello Yemen o di Damasco, e sicuramente la Francia ha i suoi bravi interessi economici da coltivare. Ma se davvero, come dice Juppè, il regime siriano deve andare incontro alle aspirazioni del suo popolo ("la Siria deve imparare dall’Egitto", secondo il segretario alla Difesa americano Gates), allora viva i nostri cugini transalpini che faranno pure finta ma si sono rimessi a spingere sul pedale della democrazia (fino a pochi mesi fa erano pronti ad aiutare Ben Alì prima che il governo tunisino fosse rovesciato…). 

Ieri 20,000 persone si sono date appuntamento a Daraa, in Siria, per onorare la memoria delle vittime della repressione poliziesca di Assad. Qualcuno dice che il muro della paura, a Damasco, è caduto, e lo stesso Assad negli ultimi giorni ha fatto tutte le concessioni possibili per riportare la calma nel Paese. Aumento dei salari, nuovi posti di lavoro, più invesimenti nella sanità, e soprattutto l’idea di poter arrivare alla formazione di veri partiti politici e alla libertà di stampa in una autocrazia che per decenni ha negato entrambe le cose. Nello stesso tempo, la pressione sul Libano e Israele. La Siria ha condannato le nuove "aggressioni" israeliane nella Striscia di Gaza, definendole il preludio di una nuova possibile guerra. Dietro la Siria c’è l’Iran e queste minacce vanno prese seriamente.

Juppè dice che i movimenti di opposizione trionferanno in tutto il mondo arabo, nello Yemen, in Siria, in Bahrain e Arabia Saudita. Che siamo di fronte a dittatori che cercheranno di resistere, ma non ci riusciranno e ben presto i ribelli otterranno ovunque le loro rivendicazioni. Viene da chiedersi che monito possa venire da un Occidente in cui gli Usa stanno dietro un’Europa divisa dai propri interessi strategici ed economici, in cui ci sono voluti giorni per trovare un accordo sulla NATO, e che non ha ancora deciso se spaccare in due la Libia o rovesciare Gheddafi. Come pure la speranza che da queste rivoluzioni nascano nuovi stati democratici si scontra col fatto che quella idea di democrazia potrebbe non coincidere per forza con quella occidentale. La Libia può essere un monito per la Siria, a patto che si capisca chi siano i successori di Gheddafi e Assad, e che i capi di questi regimi vadano via.