Ora si scopre che nel Porto di Pescara non c’era DDT
08 Marzo 2013
Nel dicembre 2011 la procura antimafia dell’Aquila ordinava il sequestro della draga che avrebbe dovuto riaprire il Porto di Pescara, smuovendo i fanghi che ne ostruiscono ancora oggi il passaggio. Dall’inchiesta, istruita per prevenire il reato di rifiuti illeciti, emergeva che il dragaggio rischiava di diffondere nell’ambiente marino il DDT, un potente pesticida. L’ARTA, l’agenzia regionale per la tutela dell’ambiente, non aveva rinvenuto tracce di DDT nei controlli effettuati in precedenza.
Gli esponenti del giustizialismo politico in Abruzzo colsero subito la palla al balzo per ergersi a difensori dell’eco-sistema, alimentando con le loro dichiarazioni i titoloni della stampa locale sui “veleni” e la grande paura dell’inquinamento. Col tempo, anche l’ARTA – finita sulla graticola – è tornata prudentemente a effettuare nuovi controlli che hanno identificato tracce di DDT nei fanghi, in misura minima ma sufficiente a scatenare un’altra canea ecologista sull’imminente disastro ambientale.
Oggi però, dalle ultime analisi commissionate dal Ministero delle Infrastrutture, e dalle migliaia di test condotti nei laboratori per conto del nuovo appaltatore privato, scopriamo che i livelli di inquinamento del fondale del porto sono nella norma. Non c’è traccia di DDT o se c’è, come diceva ARTA, è comunque al minimo consentito. Sono trascorsi 15 mesi, 50 milioni di euro i danni stimati all’economia locale dal blocco delle attività portuali, la marina pescarese ormai sul piede di guerra che aspetta ancora di poter riprendere il mare. La stagione turistica da e verso la Croazia bruciata.
Forse un’altra analisi dei fanghi condotta tra qualche mese rileverà nuovamente tracce di DDT nelle acque del porto. Nella scienza odierna, infatti, subentrano calcoli che appartengono al mondo della probabilità, al quale al quando e al quanto dei campioni analizzati, quello che Kuhn chiamerebbe “il paradigma dell’incertezza”. Esattamente il contrario dell’atteggiamento con cui il potere giudiziario piega la scienza ai suoi fini giudicanti, spalleggiato dal giustizialismo di certa politica e dalla sicumera della stampa più allarmistica. In una malintesa idea di sicurezza ambientale che produce una palude economica, fangosa come il fondale del Porto di Pescara.