Ora tocca a Usa&co. far capire che il M.O. è un posto migliore senza Assad
10 Settembre 2012
Il premier turco Erdogan lo chiama regime terrorista. Il presidente egiziano Morsi ha fatto appello a Damasco "perché fermi il bagno di sangue", ha chiesto ai Paesi arabi di "fare di più" e ha pronosticato che "il regime siriano non durerà ancora per molto". Due stati i pesi massimi del mondo musulmano si scagliano contro il regime di Bashar al-Assad dopo la strage di bambini denunciata dall’opposizione siriana, secondo la quale tra i 175 uccisi mercoledì vi sono non meno di 25 minori. Un orrore che conferma le parole dell’inviato dell’Onu per la Siria, Lakhdar Brahimi, secondo il quale la situazione ha ormai raggiunto "proporzioni catastrofiche". Il Paese è sprofondato in una spirale di violenza che fa orrore. Le ultime notizie da Aleppo parlano di raid aerei dei lealisti per stanare i ribelli dai quartieri finiti sotto il loro controllo. Secondo l’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati dell’Onu, nel mese di agosto più di 100mila persone sono scappate oltreconfine. Si tratta del numero più alto, rispetto ai 17 mesi di conflitto, di profughi dall’inizio della battaglia tra il regime e le multiformi formazioni dei ribelli, iniziata a marzo del 2011. Nell’ultima settimana di agosto almeno 30 mila persone si sono rifugiate in Turchia, in Iraq, in Libano, in Giordania.
Secondo Foreign Policy (http://www.foreignpolicy.com/articles/2012/09/04/assad_s_massacre_strategy?page=full), questa ondata di uccisioni e massacri sarebbe la conseguenza del sanguinario piano di Assad. Il leader del regime alauita si sarebbe convinto del fatto che una campagna di uccisioni di massa è l’unica via per condurlo alla vittoria. Come scrive Hassan Hassan su quella che viene considerata la più prestigiosa rivista di affari esteri, Assad vuole giocare soprattutto sul fattore tempo.
Al di là delle solite condanne, non ci sono segnali che una comunità internazionale ancora divisa possa prendere l’iniziativa ma appare davvero difficile poter immaginare la Siria del futuro con Assad ancora in sella. Il presidente e i servizi di sicurezza hanno fatto di tutto per mostrare all’opinione pubblica mondiale le atrocità commesse dai ribelli. Nel corso di un’intervista alla filogovernativa al-Dunya il leader siriano ha continuato a recitare il suo copione e ha avvertito le potenze regionali sui rischi che correrà l’intero Medioriente senza il regime di Damasco parlando di una «battaglia a livello regionale e internazionale». Assad dice che per vincere ha bisogno di tempo.
Un conflitto violento e ormai lunghissimo si fa sentire tra la popolazione. Chi ha deciso di non avere alternative a sostenere il regime pensa che il sangue versato sia un tributo da pagare per garantirsi la sopravvivenza. La popolazione ha visto crescere la sfiducia nei confronti dei ribelli a causa delle atroci violenze settarie. Anche per questo Assad è convinto di poter resistere. Vuole prendere tempo e fiaccare la resistenza degli oppositori. Le crescenti divisioni tra le formazioni ribelli possono favorire Assad che opera da mesi per convincer i vicini che la sua caduta scatenerà il caos oltre confine. Se questo è il quadro, diventa fondamentale il ruolo degli Stati Uniti, degli alleati occidentali e dei maggiori sostenitori del “regime change” come Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Senza un accordo in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dovranno sostenere militarmente e finanziariamente i ribelli ma soprattutto convincere i vicini della Siria che il Medioriente sarà un posto migliore senza Assad.