Ormai la Dichiarazione dei diritti umani è una kermesse pacifista

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Ormai la Dichiarazione dei diritti umani è una kermesse pacifista

09 Dicembre 2008

Solo il 9% dei giovani tra i 18 e i 34 anni dice di averla letta. Ma probabilmente molti di loro saranno a Genova per la due giorni di musica dedicata al sessantennio della Dichiarazione dei Diritti umani. Guest star Manu Chao, il ‘clandestino’ che ha scalato le classifiche definendo Bush “fascista e terrorista”. E giù applausi.

 

Per i ragazzi al concerto di Genova si apre un mondo fatto di note ideologiche violentemente antiamericane, buone a propagare il relativismo meticcio che ha snaturato il senso originale della Dichiarazione. Un documento che nel 1948 non era il pezzo di carta terzomondista brandito da Manu Chao e i suoi anfitrioni.

 

Per costoro l’intero impianto della Carta si riduce alla risoluzione sul Diritto dei Popoli alla Pace votato dall’assembla dell’ONU nel novembre del 1984. Tutto il resto è retorica: la cultura che ha prodotto la Dichiarazione è figlia dell’Illuminismo e quindi esprime un falso universalismo; i diritti umani rispecchiano l’individualismo tipico delle società occidentali; sotto l’umanitarismo mercatista si celano gli interessi di potenza Usa.  

 

Dopo decenni di propaganda occidentalista non è più chiaro se i diritti umani sono rimasti quelli di una volta – e cioè il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona – oppure sono diventati qualcosa di aleatorio e inesprimibile, magari quelli propugnati dalla Cina durante le Olimpiadi, dall’Urss nell’ex Patto di Varsavia, o in altri paradisi comunisti tipo Cuba o il Venezuela di Chavez.

 

Se è vero che i Paesi dell’America Latina hanno contribuito a far passare l’idea della “diversità culturale” nella discussione sui diritti umani, non si può dire altrettanto dell’Arabia Saudita, uno stato tanto progredito da vietare altre fedi al di fuori dell’Islam. Il lambiccare antropologico e leguleio sulle interpretazioni da dare alla Carta è solo un modo per occultare la violazione dell’articolo 18 della Dichiarazione che è di casa nella monarchia Saud.  

 

E’ molto probabile che Manu Chao non sia al corrente delle “Franklin Delano Roosevelt Four Freedoms” ma, se avesse la pazienza di deporre per un attimo il microfono interrompendo il comizio, gliele ricorderemmo. Libertà di parola, libertà religiosa, libertà di movimento, libertà dalla paura. Quest’ultima è attualissima ma normalmente viene declinata nel sentimento che provano i migranti trovandosi a vivere in società come quelle occidentali sempre più razziste e xenofobe.

 

Ed è vero che nelle democrazie liberali ci sono grandi contraddizioni tra le dinamiche sociali e i loro valori fondanti. Ma se i migranti scappano dal loro medioevo per cercare una speranza in casa nostra ci sarà un motivo. Vengono nel mondo libero e questo mondo va difeso, Patriot Act compreso.   

 

Chi è convinto che i diritti umani non possono essere imposti con la guerra ha dimenticato il Ruanda. Se nella sfortunata nazione africana fosse intervenuto un contingente di qualche migliaio di uomini avremmo evitato una carneficina con oltre 800.000 morti. Vogliamo parlare della Bosnia? E quella di Saddam era una dittatura oppure no?

 

La Dichiarazione dei Diritti Umani nacque all’indomani del nazismo e conserva nel suo DNA la scoperta e la denuncia dell’Olocausto. Quindi non può che essere universale, antitotalitaria, democratica e speriamo sempre più liberale.